Piccoli gioielli naturalistici dalla laguna di Venezia ai mari della Toscana, del Lazio e della Sicilia. Luoghi incontaminati messi all’asta quasi di nascosto, talvolta anche dallo Stato. Il fenomeno è stato denunciato in un esposto dei Verdi al ministero dell’Ambiente. Ma non è giunta nessuna risposta

Piccole, splendide isole messe in vendita magari di soppiatto, tra aste che vanno deserte, affari istantanei, vincoli ambientali e pastoie, o distrazioni, burocratiche. Sfolgoranti buen retiri caraibici che finiscono nelle mani di attori, campioni sportivi e industriali d’assalto. È una tendenza inarrestabile, in gran crescita negli ultimi tempi, quella di acquistare atolli e isolotti come fossero villette a schiera in cui stoccare gli spiccioli di liquidità. La domanda è altrettanto implacabile: “Perché lo fanno?”. Le risposte sono intercambiabili: «Cerco una privacy impossibile altrove» o «Solo così posso rigenerarmi veramente, in accordo coi ritmi della natura». Ma c’è anche chi ammette, candido-cinicamente, di comprarle per mero esibizionismo e di guardare esclusivamente al business. A livello planetario, la lista di celebrities folgorate sulla via di un redivivo Robinson Crusoe, iperconnesso e pieno di comfort, è sterminata: da Mark Zuckerberg a Brad Pitt, da Johnny Depp a Cristiano Ronaldo, passando per il demiurgo della Virgin Richard Branson, che si è regalato Mosquito island, scoperta nel 1493 da un certo Cristoforo Colombo. Uno scoglio esotico a sette stelle non se lo nega più nessuno, nella nostra epoca di capitalismo avanzato. E non è soltanto “roba di Tropici”: lo stesso destino incombe sulle micro-meraviglie insulari della Spagna e della Grecia, della Croazia e del Portogallo, con gli Stati che le dismettono per rimpinguare casse pubbliche estenuate dalle crisi ricorrenti.
Ma veniamo all’Italia. Pure da noi il fenomeno è in atto, e presenta spiccati caratteri endogeni. Sono parecchie le isole patrie in vendita, assegnate o in predicato d’esserlo a magnati, fondi finanziari e scalatori sociali. Online si commercia di tutto, compresi territori salvaguardati, in teoria, dalle aree protette. Parliamo, nella maggioranza dei casi, di investimenti in forma “differita”: servono per costruirvi resort e strutture turistiche luxury, più di rado per farne dimore personali “diffuse” da mille e una notte. Speculazione bella e buona, insomma. L’isola, bene-rifugio (ed elisir omeopatico) del nostro tempo. Gli enti-parco, le associazioni ambientaliste, la partecipazione attiva delle comunità interessate cercano di mitigare i problemi etici, ed ecologici, in agguato. È di poche settimane fa…

L’inchiesta di Maurizio Di Fazio prosegue su Left in edicola dal 3 maggio 2019


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