Dal primo maggio è iniziata la nuova era “reiwa” in Giappone. L’imperatore Akihito ha abdicato e gli è succeduto il figlio Naruhito. Una successione gioiosa. Ma non lo è la società, disgregata dalla crisi. Dove le persone scompaiono facendo perdere le proprie tracce

C’erano una volta la Sony, la Nissan, la Toyota. Il Tamagotchi e i Pokemon. In parte ci sono ancora, per carità, ma il Giappone non è più in corsia di sorpasso. È fermo ai box, come dire, in attesa che succeda qualcosa. Qualcosa che lo riporti, tanto per restare nella metafora, in pole position. Aspirazione più che legittima per un Paese che rappresenta pur sempre la terza potenza economica ed industriale del mondo e per un popolo civile, onesto, gran lavoratore, protagonista per ben due volte (la prima alla fine dell’800, quando fu costretto dai cannoni del commodoro Perry ad “aprirsi” ai mercati, la seconda dopo la tragica sconfitta della guerra) di una rincorsa senza precedenti nei confronti dell’Occidente. Un’aspirazione che tuttavia l’attuale leadership politica, “stabile” sì, ma vecchia e logora, arrogante ed impreparata, spesso corrotta, non sembra in grado di garantire.
Il Giappone che dal primo maggio ha cambiato èra, ma non andazzo, non è in grandi condizioni. A parte il ruolo internazionale, sempre più marginale e ininfluente, con l’attuale governo incapace di reagire alle nuove sfide che gli sviluppi nella penisola coreana ed il ruolo sempre più importante, sia a livello regionale che planetario, assunto della Cina impongono, è sul piano nazionale che non si riescono ad affrontare le sempre più pressanti, ancorché spesso di difficile lettura, emergenze. Una crisi che non è solo economica – il Giappone , nonostante le promesse dell’Abenomics denuncia da anni tassi di crescita “zero virgola”, mentre accumula un sempre più massiccio debito pubblico (siamo a oltre 240% del Pil, il doppio di quello italiano) – ma anche e soprattutto sociale. A fronte di un considerevole calo dei suicidi – scesi da oltre 30mila l’anno a circa 20mila, cifra che pone comunque il Giappone al sesto posto del mondo, dopo Lituania, Groenlandia, Corea del Sud, Guyana e Slovenia – dovuto all’approvazione, durante la breve esperienza di governo a guida DPJ (partito democratico) di norme più severe per la stipula delle polizze vita (che tutt’ora prevedono la possibilità di pagare il risarcimento anche in caso di suicidio), sono in pericoloso aumento i dati relativi a due fenomeni tristi e preoccupanti, di cui poco si parla sui media nazionali e tanto meno su quelli internazionali: johatsu (evaporazione) e kodokushi (morte in solitudine). Gli “evaporati”…

L’articolo di Pio d’Emilia prosegue su Left in edicola dal 3 maggio 2019


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