Rileggere Benito Mussolini può essere scioccante, ma è una pratica istruttiva. È lui il precursore dell’antipolitica, dello sberleffo alle istituzioni, dell’elogio pubblico della violenza. I cui vocaboli e simboli fanno ancora parte del “lessico familiare” del nostro Paese. Ripresi ed elaborati dall’ultradestra, ma anche dai pentaleghisti di governo. Per questo Chiarelettere ha scelto di ripubblicare interventi e articoli del dittatore fascista pronunciati e scritti tra il 1904 e il 1927, nella raccolta “Me ne frego” a cura di David Bidussa, autore dell’introduzione di cui vi anticipiamo un brano

Alcuni interventi e articoli del dittatore fascista sono stati pubblicati da Chiarelettere nella raccolta “Me ne frego” a cura di David Bidussa, autore dell’introduzione di cui anticipiamo un brano.
Le parole parlate e gridate
Quello di Mussolini fu all’inizio soprattutto il regno delle parole, del loro uso, ma anche della loro creazione. In questo senso ha ragione lo storico George Mosse quando osserva che la nuova politica di cui il fascismo fu iniziatore si riconosce per il fatto di aver marcato un passaggio: più importante della parola scritta è la parola parlata; più precisamente la parola gridata, o forse ancora più precisamente la parola amplificata.
Questo passaggio vuol dire due cose: rottura del rapporto pubblico/privato quale si definisce nell’epoca della politica di massa (ovvero dall’ultimo quarto dell’Ottocento) e affermazione della parola pubblica come parola del potere. In altre parole annientamento degli spazi di autonomia. Fine di un modello di relazione che contraddistingueva i vecchi rapporti interpersonali e le forme tradizionali di mediazione e comunicazione tra gruppi sociali.
Soprattutto significa irruzione di due strumenti con cui si fa la comunicazione politica: riflettori e altoparlanti. Due ingredienti essenziali della nuova forma della politica che esordisce con la Prima guerra mondiale e che in Italia fa il suo ingresso nel periodo della neutralità, soprattutto a partire dal «Maggio radioso», ovvero dalla mobilitazione a favore della guerra che trasforma un’opinione di minoranza in una di maggioranza in forza della piazza (una dinamica che nella storia italiana si è ripetuta altre volte).
Queste novità avranno un peso nella vicenda italiana successiva e saranno decisive nella modalità dell’esercizio del potere e delle forme di partecipazione del Ventennio, perché creano l’illusione di un rapporto diretto e impersonale tra capo e masse, proprio quando tale rapporto diviene più impersonale e impositivo; creano l’illusione della partecipazione: gli ascoltatori non sono più spettatori lontani, ma attori coinvolti.
Nella scena della piazza dove il Duce p…

L’articolo di David Bidussa prosegue su Left in edicola dal 10 maggio 2019


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