In Europa sono aumentati i votanti a significare il valore politico del voto. Sia per gli equilibri politici che di quelli dei vari Paesi. Diversamente da quanto propagato non c’è stato nessun derby tra populisti ed élites ma qualcosa di più articolato grazie anche al proporzionale

Un voto che europeo lo è stato veramente. L’alta affluenza alle urne, con un aumento dell’8%, abbastanza generalizzato (ma con l’eccezione dell’Italia), che ha portato più del 50% delle cittadine e dei cittadini del continente a scommettere sul voto, dice della voglia di influire sul futuro dell’Europa e dei singoli Paesi. E di farlo tutti insieme in una delle più grandi elezioni al mondo.

Una domanda politica che si è valsa della natura prevalentemente proporzionale del voto e di una conseguente articolazione dell’offerta per smuovere il quadro già abbastanza turbolento dopo la lunga serie dei voti nazionali. La lettura dei risultati è naturalmente complessa date le molte sfumature presentate dalla situazione dei vari Paesi e del suo riassumersi negli equilibri europei.

Popolari e socialisti, i due soggetti che praticamente da sempre garantiscono la governabilità, non sono più in possesso di una maggioranza autosufficiente. Contemporaneamente le leadership di Germania e Francia, i due Paesi che hanno formato l’asse centrale degli equilibri geopolitici, sono abbastanza terremotate. Di contro però i populisti hanno sì una affermazione, ma non tale da essere in grado di rappresentare una alternativa e neanche una soluzione di riserva per i popolari. Sono invece in grado di garantire la maggioranza i liberali, assai cresciuti e che cambieranno però faccia con l’arrivo di Macron e di Ciudadanos.

E si candidano a entrare nel gioco anche i…

L’articolo di Roberto Musacchio prosegue su Left in edicola dal 31 maggio 2019


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