A Genova i camalli in sciopero hanno impedito alla nave saudita Bahri Yanbu di caricare i generatori elettrici dell’italiana Teknel. Strumenti di guerra. Lo stesso era accaduto in Francia a Le Havre. Ma a Cagliari i produttori di morte sono riusciti a bypassare il boicottaggio

Nel romanzo incompiuto Alabarde, Alabarde, José Saramago investe l’impiegato delle Produzioni Bellona S.A, Artuz Paz Semedo, del compito di indagare le vendite di armi della sua azienda ai fascisti nella seconda guerra mondiale sulla spinta di un libro, La Speranza di André Malraux. Lì, seppur così non è, Saramago era convinto di aver letto di un boicottaggio di bombe durante la guerra civile spagnola. Bombe che non esplodevano, caso immaginato di una particolare forma di sciopero: il lavoratore sabota il suo lavoro come strumento di lotta al fascismo e alla guerra.

Lo scorso 20 maggio nel porto di Genova un vero sciopero ha impedito alla nave saudita Bahri Yanbu di caricare i generatori elettrici dell’italiana Teknel, compagnia che (da “neofita” del commercio con Riyadh) nel 2018 si è aggiudicata oltre la metà delle licenze militari autorizzate dallo Stato italiano verso l’Arabia Saudita: 7.829.780 euro per 18 generatori per altrettanti shelter militari. Strumenti di guerra: gli shelter sono comandi mobili da cui si guidano droni, ordinano raid aerei, si gestisce la comunicazione interna all’esercito.

La rivolta dei camalli genovesi ha costretto la Bahri Yanbu a…

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola dal 7 giugno 2019


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