Il 4 maggio 1954 il grisù innesca un incendio nella miniera di Ribolla. Una strage: 43 vittime. Luciano Bianciardi e Carlo Cassola accorrono e scrivono di getto il libro-inchiesta "I minatori della Maremma". Che ci parla ancora delle ingiustizie di ieri e di oggi

Luciano Bianciardi è un giovane intellettuale di provincia. Crede nel lavoro culturale in provincia. Vive in una città aperta al vento e ai forestieri e va incontro agli operai con il bibliobus, un furgone scassato carico di libri. Porta ai minatori i romanzi di Vasco Pratolini e i film di Pietro Germi. Loro lo ricambiano con strette di mano erculee e la promessa di fare del mondo un posto migliore, senza preti e sfruttatori. Luciano guarda quei volti scheletrici, ossuti, vede quei polmoni gonfiarsi e tossire, sente una minaccia incombere su di loro. Una tragedia annunciata. Luciano è il direttore della Biblioteca Chelliana di Grosseto e ha, come altri intellettuali, il mito della classe operaia.

Gli operai per eccellenza nella Maremma degli anni Cinquanta sono i minatori delle Colline Metallifere. Un ampio bacino minerario pieno di pirite e lignite che si estende dal volterrano all’Alta Maremma, su cui imperano prima piccole imprese straniere, poi dal Novecento la Montecatini, la ditta principe dell’estrazione mineraria e della chimica italiana. Boschi di cerro e leccio su cui si affacciano le torri che muovono carrucole e corde verso gli abissi. Minatori che sono operai: figli di braccianti a giornata, hanno adesso un lavoro salariato e scendono nel ventre roccioso della terra.

Terra rossa, per le scorie ferrose degli inerti dello scavo; rossa per l’ideale comunista che t…

 

L’articolo di Alberto Prunetti, illustrato da Vittorio Giacopini, prosegue su Left in edicola dal 7 giugno 2019


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