La storia di Faris che ha abbandonato la City e un futuro da imprenditore petrolifero per tornare nella sua Sana’a. «Voglio contribuire a far crescere l’economia locale e renderla indipendente: gli aiuti umanitari non saranno per sempre». E racconta come e perché ha puntato tutto sul caffè

Faris al Shaibani osserva con soddisfazione i chicchi rossi di caffè, appena depositati sui tavoli da lavoro da Ruwad al Hayma. Ruwad, contadino, è arrivato da sud e ha percorso molti chilometri per essere qui, in questo cortile dentro la città di Sana’a pieno di tavole su cui una serie di lavoranti, muniti di cappellini, procede alla selezione delle bacche e alla loro essiccazione. Eppure, nonostante la strada e la tensione, Ruwad non sembra provato. Aspetta di sapere se Faris, guardando la qualità dei frutti dei suoi alberi da caffè, accetterà che lui possa essere il cinquantesimo tra i coltivatori yemeniti dell’etichetta Qima Coffee, nonché il primo coltivatore dalla località di Ans, nel governatorato di Dhamar. Faris, dopo avere scrollato la capigliatura nerissima e atteso che il muezzin del minareto aggettante sulla sua fabbrica smetta di richiamare il circondario alla preghiera, guarda Ruwad e dice: «Benvenuto, le tue piante sono buone».

Ruwad allarga in un sorriso il viso cotto dal sole e sformato da una guancia troppo grossa, per le frequenti masticature del qat (la droga da meditazione locale, ndr), poi i due si stringono la mano e si abbracciano. Il contadino non fa nemmeno in tempo a eclissarsi tra i banchi da lavoro per l’essiccazione del caffè, portando in giro la sua preziosa mercanzia, che un altro pick up strombazza davanti al portone. «È una…

L’articolo di Laura Silvia Battaglia prosegue su Left in edicola fino al 13 giugno 2019


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