Proviamo ad uscire per un giorno dalla politica (è venerdì, ce lo concediamo) e a pensare piuttosto al quadro generale, all'umanità che abbiamo intorno o, meglio, alla comunità che dovremmo avere intorno e che invece appare sempre più disgregata, a brandelli, ferita da una disputa tra due fazioni che se ci pensate non si parlano nemmeno più. Quando qualcuno incontra qualcun altro apparente alla fazione opposta non ha nemmeno più la voglia di provare a spiegare. Succede nei bar, negli uffici, a cena fuori: c'è chi dà addosso ai negri e ai poveri e ti assale quel groppo in gola perché sai che se rispondi quello risponderà con gli slogan, nessuno ascolterà l'altro, e si finisce solo per sfidarsi a colpi di retorica. Come se ci fosse un muro in mezzo. Come se fossimo diventati tutti isole che al massimo ogni tanto si scontrano ma non si incontrano mai. Provate a pensare alla responsabilità di ciò che abbiamo intorno. C'erano tempi in cui ci si curava che la nazione fosse potabile, qualcosa di cui essere fieri (altro che il patriottismo di plastica di questi tempi). Poi abbiamo cominciato ad accontentarci che la nostra città non avesse troppi problemi. Poi il nostro quartiere. Poi il nostro condominio. Infine il nostro cortile. Abbiamo ristretto gli spazi di cui vogliamo prenderci cura perché ci hanno convinto che sia troppo da radical chic essere solidali ad ampio raggio. E ci siamo cascati. Ci occupiamo di noi stessi e dei nostri parenti più prossimi. L'egoismo è diventato addirittura un dovere civico. Roba da non credere. E l'essere umano si è fatto isola. Un arcipelago di uomini in cui il meccanismo della comunità è stato infranto, lasciando qualsiasi gesto solidale alla naturale propensione di ognuno, senza più essere invece un normale ingranaggio di una società che sia davvero sociale. Siamo diventati un'umanità infeltrita. Ripiegati su noi stessi traffichiamo con i nostri piccoli egoismi pensando di brigare con quelli tutto l'essenziale, lasciando indietro gli ultimi e anzi allontanandoli ancora per non inquinarci la vista. Siamo tutti arroccati sulle nostre miserie godendo delle disgrazie degli altri miserabili. E per questo ci vorranno anni, decenni, per provare a rimettere le cose a posto. Per trovare la formula del collante che ci tenne insieme. Buon venerdì.

Proviamo ad uscire per un giorno dalla politica (è venerdì, ce lo concediamo) e a pensare piuttosto al quadro generale, all’umanità che abbiamo intorno o, meglio, alla comunità che dovremmo avere intorno e che invece appare sempre più disgregata, a brandelli, ferita da una disputa tra due fazioni che se ci pensate non si parlano nemmeno più. Quando qualcuno incontra qualcun altro apparente alla fazione opposta non ha nemmeno più la voglia di provare a spiegare. Succede nei bar, negli uffici, a cena fuori: c’è chi dà addosso ai negri e ai poveri e ti assale quel groppo in gola perché sai che se rispondi quello risponderà con gli slogan, nessuno ascolterà l’altro, e si finisce solo per sfidarsi a colpi di retorica. Come se ci fosse un muro in mezzo. Come se fossimo diventati tutti isole che al massimo ogni tanto si scontrano ma non si incontrano mai.

Provate a pensare alla responsabilità di ciò che abbiamo intorno. C’erano tempi in cui ci si curava che la nazione fosse potabile, qualcosa di cui essere fieri (altro che il patriottismo di plastica di questi tempi). Poi abbiamo cominciato ad accontentarci che la nostra città non avesse troppi problemi. Poi il nostro quartiere. Poi il nostro condominio. Infine il nostro cortile. Abbiamo ristretto gli spazi di cui vogliamo prenderci cura perché ci hanno convinto che sia troppo da radical chic essere solidali ad ampio raggio. E ci siamo cascati. Ci occupiamo di noi stessi e dei nostri parenti più prossimi. L’egoismo è diventato addirittura un dovere civico. Roba da non credere. E l’essere umano si è fatto isola. Un arcipelago di uomini in cui il meccanismo della comunità è stato infranto, lasciando qualsiasi gesto solidale alla naturale propensione di ognuno, senza più essere invece un normale ingranaggio di una società che sia davvero sociale.

Siamo diventati un’umanità infeltrita. Ripiegati su noi stessi traffichiamo con i nostri piccoli egoismi pensando di brigare con quelli tutto l’essenziale, lasciando indietro gli ultimi e anzi allontanandoli ancora per non inquinarci la vista. Siamo tutti arroccati sulle nostre miserie godendo delle disgrazie degli altri miserabili.

E per questo ci vorranno anni, decenni, per provare a rimettere le cose a posto. Per trovare la formula del collante che ci tenne insieme.

Buon venerdì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.