Entro il 7 luglio, giorno delle elezioni anticipate, il premier deve recuperare i punti che separano Syriza da Nuova democrazia. E non sarà facile perché anche se l’economia va meglio, la catastrofe provocata dalla crisi attanaglia ancora i cittadini greci

Non è solo la pesante sconfitta. È che nessuno se l’aspettava e, ancora più grave, nessuno ha ancora capito bene il perché. Il Comitato centrale e la segreteria di Syriza dibattono praticamente senza interruzione dal lunedì dopo le elezioni europee. Molte le interpretazioni. Per alcuni, molto schematicamente, la politica del governo è stata troppo poco “di sinistra” e ora, per recuperare gli elettori perduti, “deve dimostrare nei fatti la sua volontà di cambiamento”.
Eppure, questo è il governo che ha portato fuori il Paese dal micidiale controllo della Troika, che ha ottenuto per tre anni consecutivi uno sviluppo del 2 per cento, che ha ridotto di più di 10 punti la disoccupazione, che ha rimesso in piedi un sistema sanitario saccheggiato e distrutto, che ha garantito assistenza sanitaria per tutti, ripristinato i contratti collettivi di lavoro, riportato la tredicesima ai pensionati (dopo ben dodici tagli), contributi di solidarietà per i redditi più bassi.
«La gente sente che le cose dell’economia vanno bene ma non ne trova riscontro nella sua quotidianità, dove ancora sconta la catastrofe provocata della crisi» è l’opinione di Nikos Toskas, ex ministro dell’Ordine pubblico. Concorda il ministro delle Finanze Euclides Tsakalotos: il governo è riuscito a muoversi con accortezza tra le maglie della stretta disciplina imposta dall’Eurozona ma ha iniziato ad elaborare una sua propria strategia di sviluppo e di ricostruzione dello Stato sociale solo dopo l’agosto 2018. Troppo tardi e troppo poco perché sia percepito dai cittadini e renda in termini di voti.
Secondo altri analisti un ruolo importante nella sconfitta ha giocato l’accordo sulla denominazione della Repubblica ex jugoslava di Macedonia. Anche se il compromesso raggiunto seguiva in pieno le direttive concordate dai precedenti governi, il partito conservatore Nuova democrazia ha abbracciato l’estrema destra ultranazionalista pur di scatenare una campagna a colpi di grida al “tradimento” ed alla “svendita di valori nazionali”. I risultati elettorali però nella Macedonia greca non indicano un particolare spostamento a destra degli elettori.
La spiegazione più probabile viene fuori da chi conosce bene il sistema politico greco. Come il giornalista Stavros Lygeros che ha subito parlato di «voto negativo». In altre parole, gli elettori hanno votato contro Syriza non in favore di Nuova democrazia. Un comportamento che si è verificato spesso nel passato.
In effetti, Nuova democrazia difficilmente può sembrare un’opzione capace di suscitare grandi simpatie popolari. È un partito apertamente schierato in favore del Fmi: il suo programma parla esplicitamente di abolizione delle otto ore lavorative e del riposo settimanale, privatizzazione del sistema pensionistico, dell’istruzione universitaria e della sanità. Il suo leader, Kyriakos Mitsotakis è il rampollo di una chiacchieratissima dinastia politica: a metà degli anni Sessanta, suo padre, Konstantinos, si era guadagnato l’infamante epiteto di «apostata»: aveva congiurato con il re per rovesciare l’allora premier del suo stesso partito, aprendo così la strada al colpo di Stato dei colonnelli. Il figlio Kyriakos segue la sua strada, spostando Nuova democrazia verso posizioni di estrema destra e piazzandone ai vertici transfughi dei gruppuscoli neofascisti o filocolonnelliani. Negli ultimi tre anni sono tornate nel dibattito politico espressioni che non si sentivano dall’epoca della Guerra fredda: «Fascisti rossi», «banditi comunisti», «figli di Stalin» e altre raffinatezze del genere.
Questo spostamento a destra di Nuova democrazia, insieme con la quasi sicura quanto imminente condanna al lungo processo contro il gruppo dirigente, spiegano il forte ridimensionamento di Alba dorata. Per la prima volta il partito nazista ha subito una flessione, ottenendo il 4,8 per cento. Gli elettori di estrema destra che non hanno voluto tornare tra le braccia di Mitsotakis hanno optato per un televenditore stravagante di nome Kyriakos Velopoulos, che a sorpresa ha ottenuto il 4 per cento ed un seggio a Strasburgo. Tra una teoria complottista, un inno a Vladimir Putin e una scarica di insulti ai politici “ebrei” e “massoni”, Velopoulos diletta le serate televisive dei suoi elettori vendendo a prezzi ragionevoli le “lettere autografe di Gesù Cristo” e “pomate miracolose” contro ogni malanno prodotte a Monte Athos.
Il successo del televenditore è un argomento in favore di chi attribuisce l’esito delle urne alla feroce campagna antigovernativa che hanno scatenato le tv private, spesso a colpi di fake news. Da tempo i greci sono al primo posto in Europa nel consumo di televisione con 4 ore e mezza al giorno. Alcuni analisti hanno infatti sostenuto che il vero antagonista di Tsipras non era la destra ma il sistema informativo, totalmente controllato dagli oligarchi.
Per Tsipras recuperare quei 9,5 punti di vantaggio entro il 7 luglio appare impresa impossibile. Il leader di Syriza non è nuovo a queste sfide: basti pensare alla clamorosa vittoria alle elezioni del settembre 2015, due mesi dopo la firma del dolorosissimo terzo accordo di austerità con i creditori. Allora è stata una sua vittoria personale, ma anche adesso il suo carisma comunicativo ha permesso a Syriza di confermarsi come una forza politica nazionale. Nelle ultime due settimane prima delle urne, il primo ministro ha deciso di uscire dal Palazzo Maximou e partecipare attivamente alla campagna: la percentuale di Syriza è aumentata di circa 5 punti, arrivando al 23,7 per cento definitivo.
Se le elezioni si fossero svolte alla fine fisiologica della legislatura, a settembre, avrebbe avuto tutto il tempo per recuperare gli elettori perduti e dare un segno più incisivo dell’uscita dall’austerità. Ma Tsipras ha voluto dimostrare di non essere attaccato alla poltrona e ha preso atto del significato politico della sconfitta alle europee.
Questa centralità del leader non è ben vista dentro Syriza. C’è odore di “leaderismo”, peccato mortale per ogni formazione della sinistra. La triste verità però è che il partito non è mai riuscito ad adattarsi alla nuova situazione di governo. Continua ad avere 30 mila iscritti, come quando prendeva il 4 per cento e stentava ad entrare in Parlamento. Negli ultimi quattro anni le organizzazioni locali e di base di fatto hanno smesso di funzionare e l’organizzazione giovanile si è sciolta. Syriza continua ad essere pochissimo presente nelle autonomie locali, nel sindacato, nei movimenti di protesta e tra i giovani. Tutta l’attività politica è stata delegata al governo, al quale peraltro il partito non è stato capace di fornire né quadri preparati, né proposte, né idee, né programmi.
La dolorosa scissione dell’estate del 2015 sicuramente ha peggiorato le cose ma il problema è più profondo: c’è una parte consistente di Syriza che non ha mai visto di buon occhio l’espansione elettorale ed ha sbarrato le porte del partito ai nuovi membri, provenienti dal partito socialista Pasok. L’attuale segretario Panos Skourletis cerca di spingere nella direzione opposta ma con scarsi risultati.
Al contrario, Tsipras da tempo sta portando avanti un’operazione di aggancio con la sinistra socialista. Alla lista per le europee abbondavano i candidati ex Pasok, mentre da tempo Syriza, pur continuando ad essere membro della Sinistra europea, partecipa da osservatore alle riunioni del Partito socialista europeo. Nella scelta del nuovo presidente della Commissione, Tsipras si è apertamente schierato in favore del socialista olandese Frans Timmermans, spingendo nella direzione di una collaborazione tra il Pse, il gruppo della sinistra Gue/Ngl ed i Verdi.
Per il premier greco, la situazione in Europa sta rapidamente cambiando. Il suo progetto di creare un fronte dei Paesi dell’Europa meridionale si sta esaurendo. Né nel 2018 né quest’anno si è tenuto alcun vertice tra i sei Paesi coinvolti a causa dell’indisponibilità del governo di destra italiano. Per il governo greco il confronto si sposta così dai vertici intergovernativi al Parlamento europeo, dove si impone di fare fronte contro i populisti di estrema destra. Il terreno su cui bisogna impegnarsi rimane quello dei due argomenti scottanti per l’Europa: la politica economica e l’immigrazione.
Gli unici non disponibili sono i socialisti greci del Pasok. L’unica preoccupazione della leader del partito Fofi Gennimata è di ripristinare la collaborazione governativa con la destra, come durante il periodo 2012-2014. Magari con la Gennimata in qualche ministero. Per evitare di pagare i suoi debiti, il Pasok ha cambiato nome in Kin.Al. (Movimento per il cambiamento) ed alle europee ha segnato un modesto aumento, arrivando al 7,7 per cento.
La stessa dinamica di sopravvivenza ad ogni costo guida anche il Partito comunista Kke che ha ottenuto l’usuale 5,3 per cento e persiste nella sua politica di splendido isolamento. Le liste minori a sinistra di Syriza erano ben otto ma tutte insieme non sono arrivate all’1 per cento. Solo il partito europeo Diem25 di Yanis Varoufakis ha ottenuto un bel 3 per cento ed ha perso il seggio per appena 400 voti. È quindi probabile che al prossimo Parlamento greco ci sia di nuovo il famoso economista. In questo caso, forse, dovrebbe tenere un po’ a freno il suo famoso ego. Dopo la quasi entrata al Parlamento europeo, Varoufakis ha dichiarato che il suo quasi successo era l’“avvenimento storico” che aveva segnato le elezioni e che era disponile ad accogliere Syriza in Diem25.

L’articolo di Dimitri Deliolanes è stato pubblicato su Left del 14 giugno 2019


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