Può sembrare un’idea folle, invece si tratta di un atto fondativo mancato. L’europeizzazione dei debiti pubblici dei Paesi Ue sarebbe il primo vero passo verso la costruzione di una Unione politica oltre che una misura “terapeutica” contro le distorsioni del trentennio liberista

Proposta un po’ folle. Al prossimo Consiglio europeo si decida un atto rivoluzionario: la europeizzazione del debito dei Paesi Ue. E che questo sia il punto di avvio di un processo in tempi rapidi e certi di costruzione di una comunità democratica europea attraverso misure guidate politicamente di armonizzazione sociale.
Immagino i pensieri di chi legge. Europeizzare il debito significa che “gli scialacquamenti” di qualcuno dovranno essere pagati anche dai “virtuosi”? Ebbene sì. Naturalmente le cose non stanno così, e scialacquatori e virtuosi nella realtà sono assai meno bianco e nero di come si voglia far vedere le cose.
Ma partiamo precisamente dal “folle” atto: la socializzazione del debito. E vediamola in questo modo: si può mettere su una casa in comune continuando a pensare che però questo è mio e questo è tuo e al massimo mi devi pagare (caro) ciò che ti presto? Ora, la storia insegna che sicuramente in quasi tutti i processi di realizzazione di case comuni qualcuno ci ha guadagnato e qualcuno ci ha perso. Ma perlomeno una dichiarazione che la casa e i mobili fossero comuni c’è sempre stata. E le regole si sono rese solenni con le Costituzioni.
Qui invece ci troviamo di fronte – ad essere buoni – ad una sorta di regolamento di condominio (per altro trattasi di un condominio particolarmente litigioso). Difficile ritrovare nella storia un processo di costruzione di una casa comune che non partisse appunto dal socializzare ciò che si ha, condividendo dunque anche i problemi.
Un atto come l’assunzione comune del debito è precisamente un atto fondativo. Se ragioniamo su come stiamo messi ci rendiamo conto che quella che sembra una follia è invece un atto mancato e che ha determinato, insieme a molto altro, la vera follia in cui siamo. Perché che si sia in una situazione folle lo si dovrà pure ben vedere. Nel prossimo Consiglio europeo naturalmente non si discuterà della follia di cui scrivo ma si continuerà con la follia in cui siamo.
Da una parte, un braccio di ferro tra le “raccomandazioni” europee fissate col debito e col deficit e le istanze sovraniste del governo di uno dei principali Stati dell’Unione, quello giallonero. Dall’altra, la polemica tra Draghi e Trump, con quest’ultimo che accusa il primo di fare concorrenza sleale agli Usa se immetterà denaro più facile nell’economia europea. Accusa che dovrebbe apparire assurda, e infatti lo è, ma che si motiva per Trump nella strana natura della Ue, della Bce e del loro modo di fare economia.
Infatti la Ue non è uno Stato federale democratico e “normale”, bensì una fantasiosa costruzione anomala a supporto di una economia fortemente ideologica sul doppio versante del liberismo e del monetarismo, che al contempo mantiene un accumulo “storico” di modello sociale. La Bce è una sorta di banca-Stato che sostanzia la costruzione fantasiosa. E il modo di fare economia è l’ibrido che richiamavo che produce continui paradossi. Come quello di considerare “vincolo esterno” un debito che viene definito come tale da Trattati che dovrebbero invece definire un perimetro interno. Quello di considerare “aiuti di Stato” normali meccanismi di sostegno all’economia. Cosa che alimenta la polemica di Trump e che discende dal modo curioso di definire l’Unione e cioè per regole – quelle liberiste e monetariste – e non per Atto fondativo costituzionale realizzato per mezzo di istituzioni e politiche scelte ed attuate. Da questo punto di vista gli Usa sono un Paese capitalista ma “normale” e cioè costituzionale e politico. Il loro atto fondativo è la “doppia follia” della dichiarazione d’indipendenza e della messa in comune del Paese. Alla Ue manca sia l’atto fondativo costituzionale, sia la messa in comune, sia la politica come attuazione dell’atto fondativo.
Per questo siamo all’assurdo di ciò che accade nei Consigli europei come nelle relazioni mondiali.
Se restiamo così assisteremo ad un nuovo balletto destinato ad esiti più o meno squallidi o tragici. Tra un vero mercato delle vacche intergovernativo in cui scambiare un po’ di flessibilità con un po’ di appoggio su qualche carica istituzionale e i rischi di nuovi massacri sociali.
Saggezza vorrebbe che si prendesse atto che l’assunto fondativo (l’ideologia liberista di Maastricht che ha sostituito l’atto fondativo costituzionale) è stato falsificato dai fatti. Cioè che non è vero che la messa in comune dell’ideologia del libero mercato e delle regole monetaristiche (controllo di deficit e debito) abbia favorito l’armonizzazione. È successo l’esatto contrario. Le distanze tra Paesi e tra ceti sociali sono cresciute. Le diseconomie si sono aggravate. Invece che armonizzare in una economia europea si sono assorbite aree di influenza. Gli stessi deficit e debiti non solo permangono, ma dipendono sempre più da asimmetrie crescenti, rispetto che da “cattivi comportamenti”.
A conferma della cattiva coscienza sta il fatto che la stessa governance ha legiferato (con il Six pack) sull’insieme degli squilibri macroeconomici mettendo al primo posto non deficit e debito ma i surplus esportativi. Ora tutti sanno che dopo aver realizzato in deficit e debito la sua unificazione la Germania li ha europeizzati, realizzando una serie continuativa di venti anni di eccessi di surplus commerciali, in violazione della regola e traendo un cospicuo vantaggio nell’uso stesso dell’Euro mentre per molti altri Paesi ciò determinava l’esatto contrario. Ma, mentre deficit e debito entravano nel Fiscal compact, lo sbilanciamento macroeconomico del surplus esportativo non è mai stato sanzionato. E che esso comporti più debito strutturale nei Paesi che subiscono questi surplus lo dice la stessa regola di sanzionamento prevista e mai applicata, che prevederebbe multe significative da utilizzare per alimentare il fondo per gli Stati in difficoltà, riconoscendo quindi il nesso tra eccesso di surplus ed eccesso di debito.
Peraltro ormai l’integrazione passiva delle economie – che è l’esatto contrario della armonizzazione – ha prodotto perdite (in Italia il 25% dell’apparato manifatturiero) che rischiano l’irrecuperabilità.
Sempre a proposito di cattiva coscienza in realtà negli ambienti della governance si cominciò a discutere di europeizzazione del debito. Cioè della copertura da parte della Bce della quota eccedente il famoso 60%. Ma la cattiva coscienza portò a formulare una proposta in linea con il peggio dell’esistente e che non a caso aveva un nome appropriato alla teoria del debito come colpa.
Si è proposto un Fondo di redenzione dalla quota eccedente il 60% coperto con la alienazione di quote corrispondenti del patrimonio nazionale. Altro che messa in comune: siamo al condominio fondato sullo strozzinaggio e la “vendita” dei debitori.
La europeizzazione del debito al contrario diventa atto fondativo se mette veramente in comune e per altro ripara le distorsioni che ho ricordato prodotte dal trentennio di follia liberista. Naturalmente all’atto fondativo devono seguire politiche corrispondenti. Politiche attive di armonizzazione per perseguire il benessere dei cittadini che vivono in Europa e che deve essere sancito da una Costituzione.
Dopodiché servirà non una banca-Stato ma una banca di Stato, che dia denaro non alle banche private ma allo Stato federale e agli Stati della federazione. Denaro che deve provenire da un sistema di tassazione europeo progressivo ed armonizzato. Che va orientato a produrre occupazione e benessere sociale e ambientale. Che non può convivere con le perversioni della finanziarizzazione. La quale produce un’altra delle follie in cui ci troviamo, per cui sistemi fiscali pensati (e motivati) per alimentare il welfare sono stati distorti verso il sostegno alle rendite finanziarie, distruggendo in un colpo solo sia gli stessi sistemi fiscali che il welfare.
E l’armonizzazione deve entrare nel vissuto di cittadine e cittadini, riequilibrando redditi e welfare, invece che sconvolgerlo con debito e diseguaglianze crescenti. Difficile pensare che qualcuno porti tutto questo nella discussione europea. Ragione in più per farlo noi.

L’articolo di Roberto Musacchio è stato pubblicato nel numero di Left del 28 giugno 


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