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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Dopo aver subito lo scacco della liberazione della capitana della Sea-Watch3, Carola Rackete (per i giudici ha agito con l’obiettivo di adempiere al dovere di «salvare vite umane»), il ministro dell’Interno Salvini è passato direttamente al sequestro del piccolo veliero Alex non appena giunto nel porto di Lampedusa. Non appagato, ha riunito il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica pur di fermare le navi umanitarie che portano soccorso in mare. Sulla strada aperta dalla ministra grillina Elisabetta Trenta, ora Salvini vuole schierare le navi militari contro i rari nantes, contro i migranti che coraggiosamente sfidano i flutti in cerca di un futuro possibile e contro i naufraghi che rischiano di affogare. Presto il ministro comincerà a pensare di affondare direttamente le navi delle Ong come ha suggerito Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia per “risolvere” il caso della Sea-Watch3?
Usare il pugno duro con i deboli gli viene facile e torna comodo: fingendo di ingaggiare un braccio di ferro con l’Europa, Salvini fa il gioco della Ue che punta al controllo dei flussi e ad esternalizzare le frontiere. Ma la sua cinica guerra ai migranti ha anche l’obiettivo di distrarre l’opinione pubblica. Così, furtivamente, il governo giallonero taglia risorse alle scuola e alla sanità, comprime ulteriormente il diritti e si appresta ad allargare la forbice delle disuguaglianze con l’autonomia differenziata (tema a cui dedichiamo un ampio sfoglio). Ma non solo. Con lo sblocca cantieri e la deroga al codice degli appalti incoraggia la speculazione e la cementificazione di un Paese già ferito da un vertiginoso consumo di suolo, guardandosi bene dall’investire sulla sua necessaria e urgente messa in sicurezza (che sarebbe utile anche per creare posti di lavoro).
Dopo svariati condoni, compreso quello previsto per la fragilissima Ischia, questo governo con il ministro Bonisoli non ha trovato di meglio da fare che varare una nuova riforma dei beni culturali, togliendo autonomia a musei come gli Uffizi e il museo etrusco di Valle Giulia, gettando ulteriormente nel caos la rete museale e delle soprintendenze già disarticolata da Franceschini che l’ha staccata dal rapporto vivo con il territorio. Nel silenzio generale, intanto, va avanti una massiccia campagna di svendita di beni pubblici e di sfruttamento intensivo (a tutto vantaggio del profitto di privati) di isole, colline, spicchi di paesaggio, città storiche: emblematico il caso di Venezia dove si è di nuovo sfiorata la tragedia con una grande nave che, a causa del maltempo, ha rischiato la collisione con un vaporetto e la banchina nei pressi di piazza San Marco. Se il ministro Toninelli tace, su questo tace anche l’Unesco che invece potrebbe far pressione perché il delicato organismo della laguna venga tutelato e rispettato.
Quanto a questo auto nominato governo del cambiamento, procede perfettamente in linea con lo scellerato progetto di sfruttamento dei beni comuni e del patrimonio storico artistico cominciato negli anni Novanta, con le privatizzazioni selvagge dell’era Berlusconi, con le cartolarizzazioni avviate dalla “finanza creativa” di Tremonti che da ministro dell’Economia varò la Patrimonio dello Stato Spa, che rendeva vendibile ogni proprietà pubblica e che fu un fallimento totale anche sul fronte degli incassi statali. Su quel disastroso progetto neoliberista, come è noto, si sono appiattiti anche i recenti governi di centrosinistra, folgorati sulla via di Damasco del blairismo, che si sono disinteressati della tutela del paesaggio e dei beni culturali prevista dalla Costituzione occupandosi solo di valorizzazione, intesa come monetizzazione.
Quel che è accaduto per il patrimonio storico artistico – raccontato magistralmente da Fulvio Cervini in questo sfoglio – è successo anche per beni essenziali come l’acqua. La vittoria del referendum sull’acqua nel 2011 è stata nei fatti cancellata, il risultato del voto disatteso, quando non letteralmente boicottato (con provvedimenti come il decreto Madia che si sono addirittura posti in contrasto) come denunciano Riccardo Petrella e Alberto Lucarelli in questa cover story, accendendo i riflettori sulla nuova stagione di mobilitazione in difesa dei beni comuni che si è aperta con iniziative di partecipazione dal basso che rilanciano la democrazia partecipativa rimettendo al centro l’interesse collettivo.