Dimenticate il vociare degli sciami di vacanzieri che si accalcano ogni estate nelle pur splendide Cinque Terre. Dimenticate il rombo dei rimorchiatori e le gru che sferragliano senza sosta al porto di La Spezia. Nella baia del capoluogo ligure, meglio conosciuta come Golfo dei poeti per i tanti letterati che se ne innamorarono, ancora resiste un’oasi in gran parte silenziosa e incontaminata. Una delle poche, in questo lembo di Liguria dove l’impatto dell’uomo è ben visibile, in ogni centimetro su cui si posa lo sguardo. Stiamo parlando della Palmaria, l’isola maggiore dell’arcipelago ligure, che si sporge a 100 metri di distanza dal promontorio di Portovenere. Abitata da almeno 5mila anni, ha superato periodi di sfruttamento intensivo (sull’isola si estraeva marmo portoro, nero con striature dorate) ed ha schivato l’urbanizzazione feroce, tutelata dalla presenza di zone militari e di aree protette. L’isola, infatti, fa parte di un Parco regionale, ed è sito di interesse comunitario e Patrimonio Unesco. Un piccolo gioiello, insomma, che secondo il parere di oltre 15.700 persone rischia di essere stravolto.
Questo infatti è il totale delle firme raccolte con una petizione online – oltre il quadruplo dei residenti di del Comune di Portovenere – per preservare «uno degli ultimi angoli di natura praticamente integri della costa ligure» e bloccare il Masterplan. Fortemente voluto dal governatore della Regione Giovanni Toti – trepidante in questi giorni nel tentativo di scippare la leadership di Forza Italia al Cavaliere – il piano in questione punterebbe sulla carta a «riqualificare in termini paesaggistici, architettonici e funzionali» l’isola, «in primis per renderla nuovamente produttiva».
Tradotto in parole povere: darla in pasto a capitali privati per far fruttare i suoi tesori. Diventerà «la Capri della Liguria» disse nel 2016 il governatore, solleticando gli appetiti di investitori dei Paesi arabi, che surriscaldarono all’epoca la linea telefonica del sindaco di Portovenere.
Il Masterplan – approvato a maggio da una cabina di regia composta da Regione Liguria, Comune di Portovenere, ministero per i Beni culturali e Marina militare – è frutto di un progetto “partecipato” durato tre anni. Il piano prevede il potenziamento dell’o erta turistica, tramite il recupero di una cinquantina di immobili che la Marina trasferirà al Comune per un totale di 15mila metri quadrati, e poi la rivitalizzazione della viticoltura, un an teatro per manifestazioni da realizzare nella cava abbandonata, un impianto di risalita per raggiungere le fortificazioni militari sulla vetta dell’isola.
«Nessuno mi convincerà che sia meglio un luogo di rovi e sterpi, invece che di ulivi e vigne, di ruderi invece che case ben tenute» ha dichiarato Toti durante la presentazione del progetto, alla presenza del suo autore, l’architetto Andreas Kipar. «Vogliamo preservare un’isola già antropizzata. Tenerla così è portarla alla distruzione. Ci saranno opportunità di lavoro. E nemmeno un centimetro in più di cemento».
Ma un buon numero di cittadini, in particolare tra coloro che raggiungono abitualmente l’isola in battello per godere del profilo ancora selvaggio delle sue spiagge e grotte, non si fida. «Il “peccato originale” è il Protocollo di intesa stipulato tra Marina, Comune, Regione e Agenzia del demanio nel 2016», dice a Left Paolo Varrella, di Legambiente La Spezia. «La Marina militare chiede a Portovenere come contropartita per i beni ceduti, in gran parte ruderi fatiscenti, la ristrutturazione dei due stabilimenti balneari che restano nella sua proprietà e la realizzazione di infrastrutture nell’isola. Secondo la nostra stima, siamo sui 3-4 milioni di euro di lavori». Una somma che il Comune potrebbe trovare grazie alla vendita o alla cessione di una parte degli immobili. «Quindi i cittadini di Portovenere questi beni li pagherebbero due volte, prima con le loro tasse come contribuenti, poi per rimborsare la Marina», spiega incredulo Varrella.
Inoltre, secondo i detrattori del progetto cosiddetto “partecipato”, il coinvolgimento della popolazione locale sarebbe stato ben poco. «Si è trattato casomai di un percorso di ascolto», lamenta Fabio Giacomazzi, amministratore del gruppo Facebook “Palmaria Sì Masterplan No”. «Un percorso a bassissima intensità di inclusione che garantiva poco i partecipanti – spiega -. Chi lo ha seguito non ha potuto votare su alcun tema».
«I cittadini considerano la Palmaria un bene comune, un polmone della città. La vocazione dell’isola è quella del turismo e della fruizione sostenibile – riferisce Claudia Rancati, attivista No Masterplan e militante del Prc – mentre ora Toti e il Comune vorrebbero snaturare il luogo per renderlo una meta del turismo di alta fascia». E poi fa un esempio: «L’ex fortificazione in cima all’isola, la batteria Semaforo, è ora utilizzata come Centro di educazione ambientale ed è frequentata dalle scolaresche. Nel progetto verrebbe trasformata in un albergo di lusso».
Ed è proprio l’ambiente che potrebbe pagare il prezzo più caro di questa operazione. «Nel tratto di mare tra Palmaria e Portovenere c’è l’ultimo appezzamento di Posidonia oceanica, pianta protetta, di tutto il Golfo della Spezia», rammenta Varrella di Legambiente. «C’è poi il tarantolino, un geco che vive solo qui, c’è la Centaurea veneris, un ore tipico dell’isola, ci sono colonie di uccelli marini, cormorani». Specie che per sopravvivere hanno bisogno di tutele che mal si conciliano con il cemento.
Ma il sindaco Cozzani, imprenditore sostenuto dal centrodestra, respinge al mittente ogni accusa dei No Masterplan. «Intanto sfatiamo un mito, i 3-4 milioni che il Comune dovrebbe dare alla Marina sono l’invenzione di fantomatici ambientalisti», spiega il primo cittadino, raggiunto al telefono. «La nostra stima è di circa 2,6 milioni, e questo è il tetto massimo che dovremmo eventualmente riconoscere. Ma non saranno a carico dei cittadini, bensì dei soggetti attuatori che parteciperanno alle aste per i lotti che andremo ad alienare» «Inoltre, se anche le vendite garantissero introiti minori, il comune darà alla Marina solo una percentuale del ricavato, intorno al 25-30%. Stiamo discutendo proprio ora questa clausola di salvaguardia da inserire nell’accordo attuativo del progetto», aggiunge il sindaco. Ma per il momento ancora nulla è stato messo nero su bianco.
«Che il Masterplan non sia stato votato, poi, non è vero» ribatte Cozzani, «il progetto iniziato tre anni fa ha visto diversi incontri con stakeholder e persone che hanno voluto parteciparvi», dopodiché «in consiglio comunale si è votato quando abbiamo dato inizio al percorso e poi ci saranno i voti necessari per approvare le modi che ai piani regolatori, al piano del Parco, a quello paesaggistico».
In ne, secondo il sindaco, il Masterplan è indispensabile per portare i servizi primari nell’isola, che da tempo aspettavano i 35 cittadini che la abitano. «Nell’isola non c’è la fognatura – racconta il sindaco – non ci sono bagni pubblici, non c’è la condotta del gas» servizi che sarebbero previsti dal piano. Ma davvero era necessario un Masterplan da 25 milioni di euro (tra investimenti pubblici e privati previsti) per dare un minimo conforto agli isolani? «Chi parla in questo modo non conosce il bilancio del Comune», risponde il sindaco, che stila l’elenco dei debiti commerciali e finanziari.
«Ma i servizi di base vanno fatti a prescindere, sono un diritto di tutti. Non è che per fare una fogna vendo mezza isola ai privati», commenta Alessandra Ricci, architetto e attivista del comitato Palmaria Sì Masterplan No. «È assurdo, si vuole fare dell’isola la Sesta Terra», ironizza l’architetto, alludendo alla frequentazione massiva delle vicine Cinque Terre. «La valorizzazione di Palmaria prevista dal progetto, in realtà, è una forma di svilimento, di omologazione del territorio», aggiunge.
Inoltre, «se nel Masterplan è presente una stima dell’investimento pubblico per le ristrutturazioni degli immobili della Marina (i 2,6 milioni citati dal sindaco, nel piano si parla di una cifra compresa tra 1,8 e 3,4 mln), è invece assente un impegno di spesa per la realizzazione dei servizi primari che le istituzioni sbandierano come vero obiettivo di tutto il progetto», specifica Maria Francesca Lanznaster, avvocato e referente del gruppo legale del comitato che si oppone all’intervento nell’isola.
Altre forti perplessità emergono anche dalla lettura dei documenti ufficiali. A pagina 79 del piano di Kipar, ad esempio, si legge che «uno degli obiettivi del Masterplan è la promozione di un turismo sostenibile e culturale necessario al fine di preservare l’eccellenza ambientale del sito della Palmaria». Poche righe dopo, però, si ammette che al piano manca un tassello, ossia «l’analisi della capacità di carico» del sito, una valutazione «complessa e di difficile definizione», «uno dei progetti richiamati nel Piano di gestione Unesco» – si legge addirittura nel documento – utile a valutare il numero massimo di turisti che può tollerare un territorio senza essere danneggiato, che però al momento non c’è, e dunque «si rimanda pertanto ad una data successiva» per la preparazione di uno studio del genere, «monitorando nel tempo le azioni intraprese nel Masterplan».
Insomma, prima si interviene a gamba tesa negli equilibri dell’isola, poi si valuteranno i rischi e le ricadute, strada facendo. Un modo curioso di procedere. «La mistificazione che hanno creato è quella di redigere un masterplan “a priori” sostenibile, grazie anche alla fama positiva dell’architetto Kipar, mentre in realtà la sostenibilità è tutta da dimostrare», torna a dire Giacomazzi.
Anche sul limite alla cementificazione, la norma è ambigua. «Il Masterplan prevede che i metri cubi restino quelli, è vero, ma le volumetrie possono essere accorpate diversamente e le strutture demolite e ricostruite, con cambio di destinazione d’uso – spiega Giacomazzi – per un turismo di medio-alto livello, come si legge. C’è un tentativo di rendere l’isola un paradiso per ricchi».
«D’altronde – ricorda anche Lanznaster – l’ambiguità del progetto risiede a monte negli strumenti usati per realizzarlo: i masterplan, molto in voga negli ultimi anni, non sono dotati di una normativa dedicata, dunque non offrono garanzie concrete circa il rispetto delle complesse procedure previste in caso di varianti ai piani urbanistici ed edilizi, prima tra tutte la Valutazione ambientale strategica».
Va detto inoltre che Palmaria rientra tra gli “ambiti territoriali strategici” della Regione Liguria indicati dalla legge regionale 29/2017. Su queste aree specifiche «la Regione promuove la formazione degli atti di intesa con i Comuni interessati, le Autorità portuali e con la Soprintendenza Belle arti e paesaggio in presenza di beni paesaggistici vincolati». Questo atto di intesa produce la nomina di un «Commissario straordinario regionale cui è demandato il compito di agevolare l’attuazione dell’intesa e la realizzazione degli interventi previsti», ma produce anche «gli e etti di variante dei vigenti piani urbanistici e territoriali, generali e di settore, di livello comunale e regionale». E il futuro commissario sarà proprio il sindaco Cozzani, mentre l’obiettivo è quello di chiudere l’Atto di intesa «entro la fine del 2019», stando alle parole dell’assessore regionale all’Urbanistica Marco Scajola. Tutto è pronto, dunque, affinché il progetto possa prendere una corsia preferenziale, snellendo le pratiche.
E gli oltre 15mila cittadini che si oppongono? «Ma secondo lei saranno tutti edotti di quanto stiamo facendo, oppure saranno strumentalizzati da chi dice “distruggeranno la Palmaria e daranno 4 milioni di euro alla Marina senza avere niente in cambio”?», risponde il sindaco. Comune e Regione, dunque, tirano dritto. Ma la battaglia, giurano gli attivisti No Masterplan, è appena iniziata.