La Camera dei Rappresentanti americana, a maggioranza democratica, ha approvato una risoluzione che condanna «i commenti razzisti che hanno legittimato paura e odio nei confronti dei Nuovi Americani e delle persone di colore» del presidente Donald Trump contro quattro deputate progressiste appartenenti a minoranze etniche. La decisione è arrivata a seguito di una seduta convulsa, durante la quale la speaker dem Nancy Pelosi è stata ripresa dai colleghi per aver violato le regole vigenti, che vietano di definire il presidente razzista o di dichiarare razzisti i suoi commenti, in un acceso discorso. La risoluzione poi è stata approvata con 240 voti a favore e 187 contrari. Ai democratici, compatti, che hanno votato a favore si sono uniti solo quattro repubblicani, il congressman texano Will Hurd, (l’unico rappresentante afroamericano del partito), Brian Fitzpatrick (Pennsylvania), Fred Upton (Michigan) and Susan Brooks (Indiana); e un indipendente, Justin Amash.
Nel testo della delibera vi sono soprattutto richiami ai padri fondatori e agli ex presidenti. L’immigrazione «ha delineato ogni passo della storia americana, tutti gli americani, eccetto i discendenti dei Nativi e degli afroamericani in schiavitù, sono immigrati o discendenti di immigrati», si legge nel testo. Viene evidenziato, inoltre, che il patriottismo non si definisce per razza o etnia, «ma per devozione degli ideali costituzionali di equità, libertà, inclusione e democrazia».
Approvare una tale risoluzione – che tecnicamente è una dichiarazione di opinione e quindi non giuridicamente vincolante – criticando la condotta del Presidente è cosa rara. Secondo un report del 2018 del Congressional research service, è successo solo quattro volte che il Congresso votasse per approvare la censura o la condanna del Presidente. L’ultima era stata nel 1912, quando William Howard Taft era stato accusato di tentare di influenzare un’elezione del Senato.
Tornando ai fatti, durante un Comitato direttivo Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib e Ayanna Pressley avevano testimoniato sulle pessime condizioni in un centro di detenzione per migranti che avevano visitato. I dem avevano già più volte criticato l’amministrazione di Trump dei controlli alle frontiere, sostenendo che i migranti sono detenuti in condizioni inumane. Dopo la testimonianza, il tycoon ha affermato che, al contrario, le condizioni del centro avevano ricevuto «ottime recensioni».
In seguito, domenica 14 luglio, Trump aveva invitato in un tweet Ocasio-Cortez, Tlaib, Pressley e Ilhan Omar, quattro donne elette alla Camera dei Rappresentanti, nessuna bianca, a tornarsene nel loro Paese d’origine. Aveva poi rincarato la dose, citando anche l’attuale senatore della Carolina del Sud, Lindsey Graham: «Sono anti-semite, anti-americane, la loro agenda politica è disgustosa e gli americani la bocceranno… sappiamo tutti che Ocasio-Cortez e le altre sono un branco di comuniste, che odiano Israele e il nostro Paese». «Quando si scuseranno con il nostro Paese, il popolo di Israele e con l’ufficio del Presidente, per il linguaggio volgare che hanno usato e per le cose terribili che hanno detto? Tante persone sono arrabbiate con loro e le loro azioni sono orribili e disgustose!», aveva continuato Trump. In ogni caso, aveva aggiunto, «se non sono contente di stare qui, possono andarsene». «Queste sono persone, a mio avviso, che odiano l’America», aveva concluso.
Secondo Nancy Pelosi, «ogni singolo membro di questa istituzione, democratico o repubblicano, dovrebbe unirsi a noi nel condannare i tweet razzisti del Presidente». L’appello, che sottolineava con veemenza quanto i commenti dalla Casa Bianca fossero «disgustosi, vergognosi e razzisti», è caduto praticamente nel vuoto tra le fila del Grand Old Party (Gop). Se infatti si è trattato di uno schiaffo senza precedenti nei confronti di Trump, la risoluzione ha anche mostrato la compattezza dei repubblicani nel sostenere il Presidente. L’atto da poco approvato potrebbe ora aiutare a contrastare Trump e le sue politiche nei tribunali americani, soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione.
Approfittando della risoluzione, Al Green – deputato democratico del Texas – ha formalmente presentato alla Camera una richiesta per l’impeachment di Donald Trump. Non è la prima volta che Green intraprende questa strada con l’obiettivo di spingere la Camera ad affrontare il nodo dell’impeachment nel breve termine. L’iniziativa di Green è simbolica e con tutta probabilità non sfocerà in alcun risultato, anche se la Camera è costretta a votare in settimana. Le accuse dovranno essere confermate dalla commissione di Giustizia e poi dall’intera Aula a maggioranza semplice. La partita chiave, tuttavia, si giocherebbe in Senato, attualmente controllato dai repubblicani, dove per essere approvata la rimozione dall’incarico del Presidente dovrebbe essere votata da una maggioranza di 2/3 degli onorevoli.
L’attacco di Trump alle neo deputate ha suscitato enormi critiche negli Stati Uniti ma anche fuori dai confini nazionali. Per esempio, gli ha risposto con durezza la premier britannica Theresa May, sostenendo che le parole del Presidente americano sono «completamente inaccettabili». Ecco come la questione razziale, mai sopita, domina nuovamente il dibattito politico americano.
Aggiornamento del 18 luglio 2019
Con 332 voti a favore e 95 contro, la Camera Usa, controllata dai dem, ha deciso di mettere da parte e rinviare la risoluzione per avviare l’impeachment di Donald Trump accusandolo di aver screditato la presidenza con i suoi commenti razzisti contro quattro deputate progressiste di colore.