Questo numero di Left ricorda il terremoto che il 24 agosto 2016 colpì l’Italia centrale con epicentro Accumoli ed Amatrice. Ricordiamo le vittime, che si aggiunsero alle tantissime dei moltissimi eventi naturali che colpiscono un Paese morfologicamente prezioso ma fragile e incapace di pensare l’unica Grande opera che serve: la sua messa in sicurezza.

Che poi è la messa in sicurezza del suo territorio, ma anche delle istituzioni che vi prepongono e delle attività che vi insistono. Proprio perché parliamo di «messa in sicurezza», la crisi politica che stiamo vivendo, i rischi che percepiamo, il suo difficile svolgimento chiedono una riflessione che sia di larga portata. Indispensabile se pensiamo che stiamo a ormai trent’anni da quello che è stato chiamato addirittura il passaggio ad una Seconda repubblica. Che doveva realizzare un “Paese normale”, stabile e senza avventure. Una Seconda repubblica che sorgeva dallo scioglimento dei partiti di massa in nome della governabilità fondata sul maggioritario bipolare non più gravato da ideologismi e da conflitti.

Sono passati trent’anni ed abbiamo conosciuto Berlusconi e il partito azienda, i ripetuti attacchi alla Costituzione, l’affermarsi dell’inesistenza di alternative, i populismi e il partito della Nazione di Salvini. Soprattutto, le condizioni di vita delle persone sono andate peggiorando, mentre si perdeva la speranza in un cambiamento.

Ed eccoci qua in piena crisi politica e con l’incertezza sulle soluzioni e sui rischi che si corrono. Mentre la recessione si affaccia minacciosa dagli Usa e dalla Germania, siamo a chiederci chi sia veramente Salvini, se l’uomo che “vuole tutto il potere” o colui che sembra, spaventato, voler tornare indietro sui passi fatti. Mentre si assiste in diretta all’ennesima tragedia sadica ai danni dei migranti sulla Open arms, addirittura si risente l’antica espressione andreottiana dei «due forni» per indicare la propensione dei cinquestelle a poter scegliere tra due possibili alleanze. Loro che non dovevano allearsi con nessuno perché espressione della rivoluzione dei cittadini. E il Pd, che doveva essere architrave del bipolarismo, quello forte perché ancorato al governo europeo, si trova diviso e ridotto a fare uno dei forni, come un partito socialista piccolo e “nenniano”.

Siamo in una situazione in cui l’incertezza, e la potenziale pericolosità degli esiti, mostrano tutta la fragilità dell’impianto della cosiddetta Seconda repubblica che ha mantenuto i difetti della Prima aggravandoli con la destabilizzazione dei corpi intermedi, la preclusione di scelte alternative nel merito, l’irruzione del populismo rapidamente degenerato in forme di neoautoritarismo.

Che in un quadro come questo si pensi ad una riduzione dei parlamentari come “lotta alla casta” è un ennesimo vulnus assai rischioso. In una democrazia impoverita come la nostra per la crisi dei corpi intermedi e della relazione di rappresentanza, nel mentre è cresciuta la complessità anche legislativa (si pensi a quella europea) che si riducano i parlamentari in un Paese come l’Italia che è già al 22esimo posto in Europa nel rapporto percentuale tra eletti e elettori è uno sbaglio. Tanto più grave vista l’assurda legge elettorale che premia minoranze trasformandole in maggioranze e subordina gli eletti ai capi. E oggi darebbe tantissimo potere alla Lega.

Trenta anni sono un tempo sufficiente per capire che una costruzione, quella della Seconda repubblica, è fallita. In questa crisi perigliosa, ciò che è sopravvissuto dell’impianto costituzionale e parlamentare - grazie a chi lo ha difeso dai ripetuti attacchi - è riuscito a opporsi a chi dice di volere tutto il potere. La crisi resta incerta. Si accavallano e si rincorrono ipotesi, dal «governo Ursula» sulla scia del voto di Pd e Cinquestelle (ma anche di Berlusconi) alla nuova Presidente della Commissione Europea, al rincontro tra Cinquestelle e Lega, alle elezioni volute da Salvini e non escluse da Zingaretti.

Conte, che nasceva comprimario, arriva a questo passaggio da assoluto protagonista. E il suo discorso in aula lo conferma. Un discorso che chiama in causa il ministro degli Interni, sulle responsabilità della crisi e da ultimo anche sull’uso dei simboli religiosi. Che prova a recuperare, nell’era dei social, molti fondamenti della cultura istituzionale. Che rivendica le cose fatte, non distinguendosi neanche sulle peggiori. Che guarda molto a ciò che è accaduto e che accadrà in Europa, la nuova Commissione, il “rischio” dei conti. Nulla sui migranti, che pure stanno in quel Mediterraneo di cui parla.

Salvini risponde con quello che sembra un discorso elettorale, con tutto il suo repertorio, ma forse resterà per ora all’opposizione. Di certo prima si abbandona il punto cardine della Seconda repubblica, e cioè quel maggioritario che doveva creare una stabile normalità e invece ha determinato rischi ripetuti e crescenti, meglio è. Il proporzionale appare come una messa in sicurezza democratica. Ma poi occorrono altre cose. Che si ricostruiscano partiti veri e partecipati, magari a dimensione europea, che sarebbe quella minima necessaria. Che riprenda una nuova capacità riformatrice. In questo numero di Left parliamo non a caso di una grande riforma per mettersi in sicurezza dai terremoti. Serve trovare le forze per farla.

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L'editoriale di Roberto Musacchio è tratto da Left in edicola dal 23 agosto 2019

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Questo numero di Left ricorda il terremoto che il 24 agosto 2016 colpì l’Italia centrale con epicentro Accumoli ed Amatrice. Ricordiamo le vittime, che si aggiunsero alle tantissime dei moltissimi eventi naturali che colpiscono un Paese morfologicamente prezioso ma fragile e incapace di pensare l’unica Grande opera che serve: la sua messa in sicurezza.

Che poi è la messa in sicurezza del suo territorio, ma anche delle istituzioni che vi prepongono e delle attività che vi insistono. Proprio perché parliamo di «messa in sicurezza», la crisi politica che stiamo vivendo, i rischi che percepiamo, il suo difficile svolgimento chiedono una riflessione che sia di larga portata. Indispensabile se pensiamo che stiamo a ormai trent’anni da quello che è stato chiamato addirittura il passaggio ad una Seconda repubblica. Che doveva realizzare un “Paese normale”, stabile e senza avventure. Una Seconda repubblica che sorgeva dallo scioglimento dei partiti di massa in nome della governabilità fondata sul maggioritario bipolare non più gravato da ideologismi e da conflitti.

Sono passati trent’anni ed abbiamo conosciuto Berlusconi e il partito azienda, i ripetuti attacchi alla Costituzione, l’affermarsi dell’inesistenza di alternative, i populismi e il partito della Nazione di Salvini. Soprattutto, le condizioni di vita delle persone sono andate peggiorando, mentre si perdeva la speranza in un cambiamento.

Ed eccoci qua in piena crisi politica e con l’incertezza sulle soluzioni e sui rischi che si corrono. Mentre la recessione si affaccia minacciosa dagli Usa e dalla Germania, siamo a chiederci chi sia veramente Salvini, se l’uomo che “vuole tutto il potere” o colui che sembra, spaventato, voler tornare indietro sui passi fatti. Mentre si assiste in diretta all’ennesima tragedia sadica ai danni dei migranti sulla Open arms, addirittura si risente l’antica espressione andreottiana dei «due forni» per indicare la propensione dei cinquestelle a poter scegliere tra due possibili alleanze. Loro che non dovevano allearsi con nessuno perché espressione della rivoluzione dei cittadini. E il Pd, che doveva essere architrave del bipolarismo, quello forte perché ancorato al governo europeo, si trova diviso e ridotto a fare uno dei forni, come un partito socialista piccolo e “nenniano”.

Siamo in una situazione in cui l’incertezza, e la potenziale pericolosità degli esiti, mostrano tutta la fragilità dell’impianto della cosiddetta Seconda repubblica che ha mantenuto i difetti della Prima aggravandoli con la destabilizzazione dei corpi intermedi, la preclusione di scelte alternative nel merito, l’irruzione del populismo rapidamente degenerato in forme di neoautoritarismo.

Che in un quadro come questo si pensi ad una riduzione dei parlamentari come “lotta alla casta” è un ennesimo vulnus assai rischioso. In una democrazia impoverita come la nostra per la crisi dei corpi intermedi e della relazione di rappresentanza, nel mentre è cresciuta la complessità anche legislativa (si pensi a quella europea) che si riducano i parlamentari in un Paese come l’Italia che è già al 22esimo posto in Europa nel rapporto percentuale tra eletti e elettori è uno sbaglio. Tanto più grave vista l’assurda legge elettorale che premia minoranze trasformandole in maggioranze e subordina gli eletti ai capi. E oggi darebbe tantissimo potere alla Lega.

Trenta anni sono un tempo sufficiente per capire che una costruzione, quella della Seconda repubblica, è fallita. In questa crisi perigliosa, ciò che è sopravvissuto dell’impianto costituzionale e parlamentare – grazie a chi lo ha difeso dai ripetuti attacchi – è riuscito a opporsi a chi dice di volere tutto il potere. La crisi resta incerta. Si accavallano e si rincorrono ipotesi, dal «governo Ursula» sulla scia del voto di Pd e Cinquestelle (ma anche di Berlusconi) alla nuova Presidente della Commissione Europea, al rincontro tra Cinquestelle e Lega, alle elezioni volute da Salvini e non escluse da Zingaretti.

Conte, che nasceva comprimario, arriva a questo passaggio da assoluto protagonista. E il suo discorso in aula lo conferma. Un discorso che chiama in causa il ministro degli Interni, sulle responsabilità della crisi e da ultimo anche sull’uso dei simboli religiosi. Che prova a recuperare, nell’era dei social, molti fondamenti della cultura istituzionale. Che rivendica le cose fatte, non distinguendosi neanche sulle peggiori. Che guarda molto a ciò che è accaduto e che accadrà in Europa, la nuova Commissione, il “rischio” dei conti. Nulla sui migranti, che pure stanno in quel Mediterraneo di cui parla.

Salvini risponde con quello che sembra un discorso elettorale, con tutto il suo repertorio, ma forse resterà per ora all’opposizione. Di certo prima si abbandona il punto cardine della Seconda repubblica, e cioè quel maggioritario che doveva creare una stabile normalità e invece ha determinato rischi ripetuti e crescenti, meglio è. Il proporzionale appare come una messa in sicurezza democratica. Ma poi occorrono altre cose. Che si ricostruiscano partiti veri e partecipati, magari a dimensione europea, che sarebbe quella minima necessaria. Che riprenda una nuova capacità riformatrice. In questo numero di Left parliamo non a caso di una grande riforma per mettersi in sicurezza dai terremoti. Serve trovare le forze per farla.

L’editoriale di Roberto Musacchio è tratto da Left in edicola dal 23 agosto 2019


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