Mi ha colpito molto leggere una notizia che ha dato il Corriere della Sera in cui si racconta di questo asilo a Prato in cui si insegnano tre lingue (il lunedì e il martedì si parla in italiano, il mercoledì e il giovedì in cinese mentre il venerdì e il sabato si parla in inglese) frequentato da bambini italiani, francesi, peruviani, marocchini, egiziani, rumeni e cinesi dai tre ai sei anni.
Prato, del resto, è una città con altissima immigrazione (le cifre ufficiali parlano di almeno trentamila persone) e ha inevitabilmente dovuto fare i conti con l’integrazione al di là dell troppe cretinate a cui dobbiamo assistere per ignoranza e per propaganda.
In tutto questo c’è anche il fatto che l’asilo “Isola felice” (perché sì, si chiama proprio così) è gestito da cinesi ma non è per niente una scuola cinese come ci si potrebbe aspettare seguendo la solita retorica delle comunità chiuse. La direttrice Giulia Hu infatti si sente in dovere di chiarire: «Attenzione però, noi non siamo una scuola cinese di cinese c’è solo la gestione, siamo una materna parificata e dunque seguiamo gli standard ministeriali italiani». Evidentemente abituarsi a uno scambio bidirezionale è un’impresa.
Poi c’è la frase di una mamma italiana che racconta perché ha deciso di iscrivere il figlio: «Semplice: oltre a imparare tre lingue i bambini si abituano a vivere e a pensare in modo globale e multietnico. Il metodo pedagogico è eccellente, la scuola ben attrezzata, funzionale, ha ottimi servizi. Il futuro è multiculturale. Bisogna abituarci a convivere con più culture sin da piccoli».
E mentre leggevo la notizia pensavo che in fondo il futuro, quello che viene declamato con tanto ardore da alcuni aspiranti progressisti molto innamorati di se stessi, è già qui: immagino cosa pensano alla sera questi bambini e i loro genitori e questi insegnanti quando sentono filosofeggiare di modelli di integrazione che in realtà in Italia esistono già e funzionano benissimo. E chissà che non si sentano in colpa anche i dirigenti dei media, quelli che avrebbero l’obbligo di raccontare che l’integrazione funziona mica solo nei programmi elettorali, perfino negli asili funziona.
Buon giovedì.