Nel 1989 una sentenza della Consulta riconobbe la laicità come supremo principio costituzionale. Di laicità e della sua affermazione concreta c’è gran bisogno in Italia

Un mese cruciale, questo settembre, per l’autodeterminazione sul fine vita. Un fondamentale diritto civile laico su cui a breve interverrà la Corte costituzionale, dopo aver concesso una proroga di undici mesi a un parlamento rimasto immobile. C’è chi l’ha chiamata «incostituzionalità differita» questa sospensione di giudizio da parte della Consulta sul caso che vede imputato Marco Cappato per il reato di aiuto al suicidio. Comunque sia, il differimento sta per scadere e il 24 settembre, con tutta probabilità, sarà decretata l’incostituzionalità parziale dell’art. 580 c.p. e smantellato il reato di aiuto al suicidio, ora punito in maniera spietata con la reclusione da cinque a dodici anni.

Troppo libertario ottimismo? Può essere. Viviamo pur sempre nel Paese in cui il Consiglio di Stato ha stabilito che il crocifisso è simbolo di laicità e in cui le ingerenze ecclesiastiche fanno sentire i loro effetti sul processo legislativo. Stavolta l’uno-due clericale ha visto dapprima scendere in campo il papa, che a inizio mese ha lanciato il suo monito contro l’eutanasia; e a seguire il presidente dei vescovi card. Bassetti, che alla testa delle associazioni cattoliche no-choice riunite in convegno in Vaticano ha chiesto una legge al Parlamento, dando precise direttive: «Va negato che esista un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente». Amen.

Proprio perché sappiamo che non va mai abbassata la guardia, non è mancato e non mancherà l’impegno per far sentire la voce laica. Il 9 settembre l’Uaar e la Consulta di Bioetica hanno organizzato alla sala Isma del Senato il convegno “Per il diritto al suicidio medicalmente assistito: un’urgenza non più rimandabile”, che ha visto la partecipazione di medici, giuristi, filosofi e anche parlamentari delle attuali forze di governo, durante il quale è stato lanciato un appello alla Corte Costituzionale contenente le buone ragioni a sostegno del diritto all’autodeterminazione nel fine vita. Lo scorso fine settimana i circoli Uaar si sono mobilitati nelle piazze di diverse città e il 19 settembre saremo tutti alla manifestazione-concerto #LiberiFinoAllaFine, organizzato dall’associazione Luca Coscioni nei giardini intitolati a Piergiorgio Welby a Roma.

Su una cosa c’è da mettere da parte qualsiasi ottimismo: se verrà aperto il varco del diritto di morire con dignità e nel rispetto della volontà individuale, esercitare tale diritto sarà un processo denso di ostacoli e, probabilmente, di sofferenza. Dal 1978 si può abortire, ma conosciamo la piaga dei medici obiettori e le vessazioni che causa alle donne. Dal 1989 è un diritto non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, che però troppe volte si traduce in discriminazione infantile tra le mura dell’istituzione che dovrebbe essere accogliente per eccellenza, la scuola pubblica. E che dire del testamento biologico? La legge è stata finalmente approvata nella scorsa legislatura, a fine 2017, ma la sua attuazione è ancora in alto mare.

Non per questo bisogna arrendersi. Anzi, di laicità e della sua affermazione concreta c’è gran bisogno. Dopo aver reso onore a quel XX Settembre che per noi resta una festa, si concluda il mese celebrando il trentennale della storica sentenza n. 203 del 1989, con la quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto la laicità come supremo principio costituzionale. L’Uaar lo farà con due giornate di convegno: il primo all’università di Firenze, nella sede di Villa Ruspoli, e il secondo nell’auditorium della Regione Toscana, il 27 e 28 settembre prossimi. Il titolo è “30 anni di Laicità dello Stato. Fu vera gloria?”. L’obiettivo è colmare le carenze che sull’argomento la nostra classe politica mostra con tutta evidenza.

L’articolo del segretario nazionale Uaar, Roberto Grendene, è stato pubblicato su Left del 20 settembre 2019

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