Zenson di Piave è un piccolo comune in provincia di Treviso, ci vivono circa milleottocento anime, ed è il paese in cui sono cresciuto. Da luogo al centro della storia, qui è successo di tutto: paesi interi rasi al suolo dalle bombe, campagne martoriate, campanili abbattuti. Si è fatta la Grande guerra, ed è stata una di quelle terre “ad di là del Piave” a non capitolare mai. A pochi minuti di bici da qui c’è il punto esatto in cui fu ferito Hemingway mentre volontario si muoveva sul nostro fronte assieme alla Croce rossa americana, proprio quelle stesse campagne che racconterà in Addio alle armi e a cui fa riferimento esplicito il titolo del meno conosciuto Al di là dal fiume e tra gli alberi.
Dopo anni, nella piazza principale del paese appaiono in bella mostra due effigi del volto di Benito Mussolini. Un Palazzo restaurato, in pieno centro, sulla cui facciata riemergono due ritratti del Mascellone, diventa notizia. I volti sarebbero ricomparsi grazie ai proprietari del palazzo che avrebbero voluto riportare alla luce quelle immagini, risalenti, a loro dire, al Ventennio fascista.
Sentir dire che «non c’è alcuna apologia di fascismo», come sostiene il sindaco di Zenson Daniele Dalla Nese, lascia a dir poco sconcertati. Nel frattempo, mentre vari siti di “informazione alternativa” della destra italiana hanno parlato di “bufala” tentando di smontare o quantomeno ridimensionare la portata della notizia, alcuni si appellano al fatto che le immagini del mezzobusto del duce fossero già storicamente presenti sulla facciata e di come i proprietari, in un recente restauro, abbiano solo deciso di “riportare alla luce” quelle decorazioni, nella cornice di un’operazione che, sempre il sindaco, ha definito «una semplice ricostruzione storica».
Ma in questa narrazione emergono numerose inesattezze, che vanno precisate. Innanzitutto le facce del Duce sono tre, non due, un paio sulla facciata rivolta alla piazza, più una aggiuntiva, per non farsi mancare nulla, rivolta verso la piazzetta tra il comune e la farmacia, (che peraltro si chiama Piazza 2 giugno, proprio la Festa della Repubblica). Secondo, quello che sanno tutti in paese è che la famiglia Berto, proprietaria dell’immobile ha forti simpatie di destra. Terzo: siti come Il Primato nazionale e altri sostengono che il restauro sarebbe vecchio di un anno o più e che quindi la sinistra stia usando solo il pretesto in un momento in cui le tensioni razziali sembrano riemergere con forza – si vedano le vicende Balotelli e Segre -, cercando quindi di “cavalcare l’onda”. E questo è falso per almeno due motivi: il primo è che non si “cavalca” un’onda delle tensioni razziali, se emergono ritorni nostalgici al passato si sottolineano e si condannano, in qualunque momento essi accadano o vengano alla luce dell’opinione pubblica, anche se fossero scoperti solo tardivamente. Il secondo è che il caso vuole che se sì, il restauro è stato affrontato da più di un anno, le pitture invece risalgono a questo ottobre 2019, quindi a pochi giorni fa.
A sorprendere è l’ipocrisia di chi afferma, come fanno i proprietari, che i volti del duce ci sono sempre stati, e restaurando la facciata sono solo stati riportati ai colori del tempo. «Lo stampo era stato conservato per mezzo secolo nella soffitta», hanno dichiarato tentando di rimarcare per l’ennesima volta come l’intento non fosse propagandistico, bensì storico.
Tra chi commenta l’episodio in paese, molti dichiarano di non comprendere “tutto questo scandalo intorno alla vicenda”, aggiungendo che in fondo esistono tante opere simboliche di quel periodo, e che la damnatio memoriae non serve a nulla. Ma in questo caso, peraltro, non si tratta di conservare o meno interi edifici eretti nel Ventennio – si pensi ad esempio alle polemiche attorno al mantenimento dei palazzi costruiti nel periodo fascista all’Eur a Roma. Qui siamo di fronte ad un fenomeno diverso, qui in maniera gratuita si è deciso di riportare marcatamente alla vista delle pitture che i segni del tempo avevano giustamente occultato, e che non aggiungevano nulla alla completezza del manufatto, che avrebbe continuato a sopravvivere anche senza simili effigi. Pertanto nascondersi dietro il “riportare il palazzo a come era prima”, fregiandosi del “solo intento storico” è nascondersi dietro un alibi, peraltro piuttosto debole.
Il sindaco Dalla Nese, dal canto suo, ha ricordato che al Comune spetta solo di vagliare e far rispettare la regolarità urbanistica ed edilizia e che «sotto quei frangenti il restauro si è svolto secondo le regole», per poi aggiungere che nell’eventuale rimozione di quelle immagini «il comune non ha alcun potere, non è compito nostro. Se qualcuno segnalerà la cosa, nei modi e nei luoghi idonei, valuteremo il da farsi».
Dopo la segnalazione arrivata dal Segretario provinciale del Pd Giovanni Zorzi, l’onorevole dem Chiara Braga presenterà un’interrogazione parlamentare per chiedere l’intercessione del prefetto affinché provveda a far eliminare quelle immagini. «Da molti anni, ormai – ha dichiarato Braga – assistiamo a una sempre più insistente riscrittura della storia d’Italia e a ogni tipo di giustificazionismo nei confronti dell’ideologia fascista, della dittatura mussoliniana e delle innumerevoli malefatte risalenti a quel periodo storico come, ad esempio, gli omicidi e le incarcerazioni degli oppositori politici che si permettevano di contrastare il regimi, anche molti veneti tra cui Giacomo Matteotti. Si tratta di una politica di rimozione inaccettabile».
Senza fare un processo alle intenzioni, la questione è semplice e lineare, se vogliamo essere uno Stato credibile, (ri)nato da una Costituzione sorta dai valori della Resistenza, occorre far rispettare alcune basilari regole: quel volto, lì sopra, non ci deve stare.