[Segue da qui] Non è molto chiaro che cosa sia il Web 3.0. Ci siamo in mezzo ed è quindi difficile orizzontarsi. Se il Web 1.0 era quello della scoperta dell’Html che permetteva l’esistenza stessa di Internet e la costruzione esponenziale di molti siti web, se il Web 2.0 è quello dei blog che possono essere scritti da tutti e che hanno accompagnato la rivoluzione dei social, dei podcast, di YouTube, dei libri on demand, che cosa sia il Web 3.0 è tutto da decidere. Certo se abbiano una camera da affittare, solo per alcuni giorni a settimana e ci siamo incredibilmente riusciti, allora dovremmo sapere che il successo si deve ad un sistema di database integrato a Internet che è certamente una componente decisiva del Web 3.0. Infatti, anche se certo era possibile anche precedentemente avere database nel web, è solo in questa fase che questo strumento è esploso nell’uso di tutti. Si chiama Data Web. Ma che cosa è? E’ il fatto di avere disponibili moltissime “schede”, ciascuna organizzata attraverso alcune caratteristiche. Per esempio superficie, localizzazione, costo e anche foto. Queste migliaia di schede possono essere cercate in un attimo dall’utente per soddisfare i propri bisogni: un volo areo in una località difficile? Il database via internet vi spiega tutti i cambi e vi presenta decine di soluzioni. Un altro caso di database via web è il sistema di affitto delle macchine con conducente in moltissime città e paesi del mondo, ma è analogo con le biciclette localizzate ovunque o con le macchine in affitto. Se una volta i database erano costruiti pezzo pezzo localmente, ora viaggiano su internet sui nostri smartphone (ormai un dato di fatto per il Web 3.0) grazie a standard nuovi standard di condivisione. Lo SPARQL, che standardizza le ricerche tra i data base e soprattutto l’API che intreccia questi dati alla geolocalizzazzone Il Data Web è una bella facilitazione per la vita di ciascuno. Ma se lavoro part time con la mia stessa automobile, pagandomi gli studi o l’affitto, allora altro che facilitazione, è una vera rivoluzione. Non esisteva, oggi c’è. 8. Open data Inoltre, come sappiamo, gli enti pubblici sono “costretti per legge” a rendere disponibili alcune informazioni. Per esempio quelle sugli autobus o sui treni o sui consumi di acqua o elettricità. Queste informazioni si chiamano in gergo Open data” e possono essere estratte da internet per essere usate. Per esempio il software che ci aggiorna su quando arriva l’autobus può essere creato con un app di una terza parte (quella della municipalizzata, incredibilmente, è, a volte, meno attendibile) che appunto ci dice tra quanto arriva. Lo stesso può avvenire per altri servizi. I più bravi possono creare sistemi di Open data di famiglie diverse che mettono insieme per esempio un autobus, un metro, un percorso a piedi e un aereo e creare un modello complesso intrecciando le informazioni. Gli Open data sono il pane quotidiano di molte operazioni di analisi e modellazione che non danno solo una risposta efficiente (quale il miglior viaggio per me?) ma che hanno aspetti previsionali molto complessi nei più diversi settori. I giovani di oggi, vuoi che siano fisici, economisti o scienziati li devano saper catturare dalla rete e manipolare nei loro modelli matematici per fare previsioni e ipotesi. Ottenendo i dati degli studenti universitari, e analizzando in quanti anni si laureano, per esempio, si possono creare modelli per capire come migliorare i risultati a secondo di un incentivo o un altro. Questo modo di ragionare si chiama “What-If” (che cosa succede se modifico una condizione al mio sistema) ed è oggi esploso proprio perché gli Open data via internet alimentano direttamente i modelli di simulazione. E i modelli possono orientare scelte politiche o economiche oppure fisiche che hanno impatto sulla città. Per esempio se i miei Open data sono meteorologici, e creo modelli complessi di interazione con acqua, maree, venti, clima posso decidere - indovinate un poco - se vale la pena sollevare il Mose. Ma qui siamo nella fantascienza, almeno per l’Italia. 9. Internet degli oggetti Ma il flusso Open data - Data web - Modello di simulazione - Attuatore pur se importantissimo, forse non è la vera chiave per capire veramente la rivoluzione del Web 3.0. Credo che la vera rivoluzione sia una terrificante arma a doppio taglio. E’ che internet “ci ascolta" o meglio “ci ascolta e ci capisce”. Ripeto, una cosa terrorizzante per un canto. E’ di pochi giorni la pubblicità di un gestore telefonico che regala un oggetto dal nome esotico. Con una stilettata, mi è stato detto “Ha il nome di una escort”. Noi chiamiamola Ginexa, per intenderci. Di che si tratta? Per dirla in maniera stupida stupida si tratta di un altoparlante intelligente. In realtà Ginexa risponde con incredibile precisione ai nostri comandi da “Che tempo che fa?” a “Voglio ascoltare questa radio”, oppure “Continua a leggermi il libro tal dei tali “ . Magari lo stavo leggendo prima su un tablet e adesso invece Ginexa me lo legge lei veramente e parecchio bene e da dove lo avevo lasciato. All’inizio tutto bene, una vera luna di miele. Ma una notte faccio un salto e mi domando: “Ma Ginexa che cosa fa quando non le parlo?” Ebbene la risposta è semplicissima. Ginexa mi ascolta! E come Ginexa mi ascolta il mio telefono, il mio tablet, il mio computer, la mia nuova consolle satellitare, la mia smart TV. Mi ascoltano tutto il tempo. E non solo sono in grado di rispondermi soavemente ai miei desiderata singoli, ma anche a tutta una serie di desiderata in serie: Dimmi le notizie, che tempo che fa, metti una musica rilassante, accendi la lampadina. Accendi la lampadina? Si, perché la rete internet non è più dentro la rete pura e semplice dei computer e dei telefoni, ma con una serie di tentacoli coinvolge oggetti veri e propri. Tutto l’ambiente tendenzialmente ne fa parte. Si chiama Internet degli oggetti (ciascuno di nuovo riconoscibile in maniera singolare un poco come i prodotti con i codici a barre) Ora, anche che se io non voglio pensarci, la mia email è in un server (classificata in enormi scatoloni-edifici, magari in Finlandia), i miei messaggi sono certamente utili in qualche modo (non si vedrebbe perché l’App “dimmi che c’è”, sarebbe gratis altrimenti), e la mia vita social è fonte di ricerche utili a orientare una campagna politica e non solo un acquisto. Adesso, capiamolo, siamo anche ascoltati! Ginexa è scesa vertiginosamente di prezzo in poche settimane: 59 poi 39 ora 19 euro! E’ quasi gratis ormai. A questo punto che facciamo? Con il Web 3.0 siamo trasmettitori di informazioni, ma non nel senso buono che dicevamo nel primo capitolo (partecipare alla rivoluzione del web in prima persona), ma nel senso cattivo. Che vuol dire che qualsiasi cosa facciamo, scriviamo o addirittura diciamo viene trasmessa e certamente letta, interpretata, algoritmicamente interpolata. Ci dobbiamo disperare?

[Terza puntata - SEGUE]

*-* Antonino Saggio, insegna dal 1985 Informatica e Architettura prima alla Carnegie-Mellon di Pittsburgh, poi all’ETH di Zurigo e dal 1999 alla “Sapienza” di Roma. Ha fondato la collana internazionale “La rivoluzione informatica in Architettura” (Birkhauser, Edilstampa) che dal 1998 ha prodotto 38 volumi ognuno incentrato su una personalità o su un tema rivelante per comprendere il grande cambiamento di orizzonte teorico e culturale di cui l’Informatica è portatrice anche per l’architettura.

[Segue da qui]

Non è molto chiaro che cosa sia il Web 3.0. Ci siamo in mezzo ed è quindi difficile orizzontarsi.
Se il Web 1.0 era quello della scoperta dell’Html che permetteva l’esistenza stessa di Internet e la costruzione esponenziale di molti siti web, se il Web 2.0 è quello dei blog che possono essere scritti da tutti e che hanno accompagnato la rivoluzione dei social, dei podcast, di YouTube, dei libri on demand, che cosa sia il Web 3.0 è tutto da decidere.
Certo se abbiano una camera da affittare, solo per alcuni giorni a settimana e ci siamo incredibilmente riusciti, allora dovremmo sapere che il successo si deve ad un sistema di database integrato a Internet che è certamente una componente decisiva del Web 3.0. Infatti, anche se certo era possibile anche precedentemente avere database nel web, è solo in questa fase che questo strumento è esploso nell’uso di tutti. Si chiama Data Web.
Ma che cosa è? E’ il fatto di avere disponibili moltissime “schede”, ciascuna organizzata attraverso alcune caratteristiche. Per esempio superficie, localizzazione, costo e anche foto. Queste migliaia di schede possono essere cercate in un attimo dall’utente per soddisfare i propri bisogni: un volo areo in una località difficile? Il database via internet vi spiega tutti i cambi e vi presenta decine di soluzioni. Un altro caso di database via web è il sistema di affitto delle macchine con conducente in moltissime città e paesi del mondo, ma è analogo con le biciclette localizzate ovunque o con le macchine in affitto. Se una volta i database erano costruiti pezzo pezzo localmente, ora viaggiano su internet sui nostri smartphone (ormai un dato di fatto per il Web 3.0) grazie a standard nuovi standard di condivisione. Lo SPARQL, che standardizza le ricerche tra i data base e soprattutto l’API che intreccia questi dati alla geolocalizzazzone
Il Data Web è una bella facilitazione per la vita di ciascuno. Ma se lavoro part time con la mia stessa automobile, pagandomi gli studi o l’affitto, allora altro che facilitazione, è una vera rivoluzione. Non esisteva, oggi c’è.

8. Open data
Inoltre, come sappiamo, gli enti pubblici sono “costretti per legge” a rendere disponibili alcune informazioni. Per esempio quelle sugli autobus o sui treni o sui consumi di acqua o elettricità. Queste informazioni si chiamano in gergo Open data” e possono essere estratte da internet per essere usate. Per esempio il software che ci aggiorna su quando arriva l’autobus può essere creato con un app di una terza parte (quella della municipalizzata, incredibilmente, è, a volte, meno attendibile) che appunto ci dice tra quanto arriva. Lo stesso può avvenire per altri servizi. I più bravi possono creare sistemi di Open data di famiglie diverse che mettono insieme per esempio un autobus, un metro, un percorso a piedi e un aereo e creare un modello complesso intrecciando le informazioni. Gli Open data sono il pane quotidiano di molte operazioni di analisi e modellazione che non danno solo una risposta efficiente (quale il miglior viaggio per me?) ma che hanno aspetti previsionali molto complessi nei più diversi settori. I giovani di oggi, vuoi che siano fisici, economisti o scienziati li devano saper catturare dalla rete e manipolare nei loro modelli matematici per fare previsioni e ipotesi. Ottenendo i dati degli studenti universitari, e analizzando in quanti anni si laureano, per esempio, si possono creare modelli per capire come migliorare i risultati a secondo di un incentivo o un altro. Questo modo di ragionare si chiama “What-If” (che cosa succede se modifico una condizione al mio sistema) ed è oggi esploso proprio perché gli Open data via internet alimentano direttamente i modelli di simulazione. E i modelli possono orientare scelte politiche o economiche oppure fisiche che hanno impatto sulla città. Per esempio se i miei Open data sono meteorologici, e creo modelli complessi di interazione con acqua, maree, venti, clima posso decidere – indovinate un poco – se vale la pena sollevare il Mose. Ma qui siamo nella fantascienza, almeno per l’Italia.

9. Internet degli oggetti
Ma il flusso Open data – Data web – Modello di simulazione – Attuatore pur se importantissimo, forse non è la vera chiave per capire veramente la rivoluzione del Web 3.0. Credo che la vera rivoluzione sia una terrificante arma a doppio taglio. E’ che internet “ci ascolta” o meglio “ci ascolta e ci capisce”. Ripeto, una cosa terrorizzante per un canto.
E’ di pochi giorni la pubblicità di un gestore telefonico che regala un oggetto dal nome esotico. Con una stilettata, mi è stato detto “Ha il nome di una escort”. Noi chiamiamola Ginexa, per intenderci.
Di che si tratta? Per dirla in maniera stupida stupida si tratta di un altoparlante intelligente. In realtà Ginexa risponde con incredibile precisione ai nostri comandi da “Che tempo che fa?” a “Voglio ascoltare questa radio”, oppure “Continua a leggermi il libro tal dei tali “ . Magari lo stavo leggendo prima su un tablet e adesso invece Ginexa me lo legge lei veramente e parecchio bene e da dove lo avevo lasciato.

All’inizio tutto bene, una vera luna di miele. Ma una notte faccio un salto e mi domando: “Ma Ginexa che cosa fa quando non le parlo?” Ebbene la risposta è semplicissima. Ginexa mi ascolta! E come Ginexa mi ascolta il mio telefono, il mio tablet, il mio computer, la mia nuova consolle satellitare, la mia smart TV. Mi ascoltano tutto il tempo. E non solo sono in grado di rispondermi soavemente ai miei desiderata singoli, ma anche a tutta una serie di desiderata in serie: Dimmi le notizie, che tempo che fa, metti una musica rilassante, accendi la lampadina.
Accendi la lampadina? Si, perché la rete internet non è più dentro la rete pura e semplice dei computer e dei telefoni, ma con una serie di tentacoli coinvolge oggetti veri e propri. Tutto l’ambiente tendenzialmente ne fa parte. Si chiama Internet degli oggetti (ciascuno di nuovo riconoscibile in maniera singolare un poco come i prodotti con i codici a barre)
Ora, anche che se io non voglio pensarci, la mia email è in un server (classificata in enormi scatoloni-edifici, magari in Finlandia), i miei messaggi sono certamente utili in qualche modo (non si vedrebbe perché l’App “dimmi che c’è”, sarebbe gratis altrimenti), e la mia vita social è fonte di ricerche utili a orientare una campagna politica e non solo un acquisto. Adesso, capiamolo, siamo anche ascoltati!
Ginexa è scesa vertiginosamente di prezzo in poche settimane: 59 poi 39 ora 19 euro! E’ quasi gratis ormai.
A questo punto che facciamo? Con il Web 3.0 siamo trasmettitori di informazioni, ma non nel senso buono che dicevamo nel primo capitolo (partecipare alla rivoluzione del web in prima persona), ma nel senso cattivo. Che vuol dire che qualsiasi cosa facciamo, scriviamo o addirittura diciamo viene trasmessa e certamente letta, interpretata, algoritmicamente interpolata.
Ci dobbiamo disperare?

[Terza puntata – SEGUE]

*-*
Antonino Saggio, insegna dal 1985 Informatica e Architettura prima alla Carnegie-Mellon di Pittsburgh, poi all’ETH di Zurigo e dal 1999 alla “Sapienza” di Roma. Ha fondato la collana internazionale “La rivoluzione informatica in Architettura” (Birkhauser, Edilstampa) che dal 1998 ha prodotto 38 volumi ognuno incentrato su una personalità o su un tema rivelante per comprendere il grande cambiamento di orizzonte teorico e culturale di cui l’Informatica è portatrice anche per l’architettura.