Per la manovra 2020 l'Italia ha ottenuto il massimo possibile nell’ambito dei vincoli Ue. Ma a livello interno il populismo fiscale ha condizionato pesantemente il governo e così si è rinunciato al riassetto, necessario, del sistema tributario

La manovra fiscale per il 2020 ha finalmente preso, nel progetto, una forma definitiva. Il disegno di legge di bilancio (che include quanto sino al 2016 si è chiamato legge di stabilità, e prima ancora legge finanziaria) ha fatto seguito al decreto legge in materia tributaria emanato il 26 ottobre, e già all’esame del Senato, chiudendo il quadro degli interventi.Si è parlato di manovra di galleggiamento (Cottarelli «meglio galleggiare che andare a fondo»), di «manovra neutrale, un po’ insipida» (De Nardis, inpiù.net, 17 ottobre 2019).

Non si può non convenire. Ci si è mossi ancora nella morsa dei due vincoli che, da alcuni anni ormai, paralizzano la politica di bilancio nel nostro Paese, ed in molti altri dell’Unione europea. C’è da una parte il vincolo esterno derivante dalle regole fiscali europee, particolarmente stringente per un Paese ad alto debito come il nostro. Dall’altra, il vincolo interno di natura politica e culturale – ma, più propriamente, antipolitica e sub-culturale: l’atteggiamento antifiscale delle forze politiche populiste, che esse stesse, come fanno in relazione ai temi dell’immigrazione, alimentano nell’opinione pubblica, per poi rincorrerla in una incessante ricerca di consenso elettorale.
Quest’anno il secondo vincolo sembra aver pesato più del primo. Nell’ambito delle regole europee ci si è mossi infatti con una certa destrezza (ispirati da un ministro che nelle istituzioni europee è di casa) chiedendo, e al momento, sembra, anche ottenendo, il massimo possibile. La manovra non rispetta le tre principali regole fiscali europee: quella relativa al percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine, che per noi è il pareggio di bilancio in termini strutturali; quella dell’andamento della spesa primaria; quella, infine, relativa alla progressiva riduzione del rapporto debito pubblico/Pil verso il limite del 60%.

La circostanza fu fatta notare al governo italiano in ottobre, in occasione della presentazione del Documento programmatico di bilancio, con lettera firmata da Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, e da Pierre Moscovici, commissario per gli affari economici e monetari. Il ministro Gualtieri rispose con tono ispirato al massimo garbo istituzionale (niente a che vedere con le rissose dichiarazioni antieuropee di Salvini e Di Maio con il precedente governo). Da una parte obiettò che le tecniche di stima del prodotto potenziale attualmente impiegate…

L’articolo di Ernesto Longobardi prosegue su Left in edicola dal 22 novembre

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