«Se Facebook fosse esistito negli anni 30, avrebbe permesso a Hitler di postare spot di trenta secondi sulla sua “soluzione” per “il problema degli ebrei”». Non usa mezzi termini l'attore Sacha Baron Cohen, nel
potente discorso pronunciato durante una serata organizzata a New York dall’Anti defamation league, ong ebraica con sede negli stati Uniti che combatte antisemitismo e pregiudizi. Stavolta l'ideatore di Borat e Ali G non ha indossato le vesti di uno dei protagonisti delle sue celebri gag, ma ha parlato a nome suo, impersonando il suo «personaggio meno popolare, cioè Sacha Baron Cohen». Nel mirino ci sono il ruolo dei social network nella nostra società, la loro mancanza di responsabilità e l'inerzia nel limitare la diffusione di fake news e discorsi d'odio. Per Baron Cohen c'è «un pugno di società della rete che costituiscono la più grande macchina di propaganda della storia». Chi sono? «Facebook, YouTube e Google, Twitter e tutti gli altri», dice l'attore senza girarci attorno.
«Gli algoritmi su cui sono basate queste piattaforme - spiega - amplificano deliberatamente quei contenuti che permettono di mantenere coinvolto l’utente. Cioè storie che solleticano i nostri istinti più bassi e che fanno scattare lo sdegno e la paura. È per questa ragione che YouTube consiglia miliardi di volte video come quelli di Alex Jones, il famoso cospirazionista. È per questa ragione che le fake news battono le vere notizie - lo dimostrano anche alcuni studi: le bugie si diffondono a una velocità maggiore rispetto alla verità. E non c’è nessuna sorpresa nel fatto che la più grande macchina di propaganda della storia abbia contribuito a diffondere la più antica teoria cospirazionista della storia: la bugia secondo cui gli ebrei siano, in qualche modo, pericolosi. Come recitava un titolo di giornale: “Pensate soltanto a cosa avrebbe potuto fare Goebbels se ci fosse stato Facebook”».
Insomma, i social network vengono accusati di fare poco o niente per impedire un loro uso distorto e pericoloso quando finiscono "nelle mani sbagliate". «Oggi, in tutto il mondo - dice l'attore - ci sono demagoghi che fanno appello ai nostri istinti peggiori. E quelle teorie del complotto che una volta rimanevano confinate ai margini della società, ora sono mainstream. È come se l’Età dei Lumi, quella delle argomentazioni basate sui fatti, stesse finendo, delegittimando la conoscenza e rifiutando il consenso scientifico. La democrazia, che si basa su verità condivise, è in ritirata. E l’autocrazia, che invece dipende da bugie condivise, sta avanzando. I delitti basati sull’odio stanno crescendo, così come gli attacchi omicidi contro le minoranze religiose ed etniche Cosa hanno in comune tutte queste tendenze pericolose? Io sono solo un attore comico, non uno studioso. Ma una cosa mi è molto chiara. Tutto questo odio, tutta questa violenza, sono agevolati da una pugno di società della rete che costituiscono la più grande macchina di propaganda della storia».
E questa oligarchia del potere informativo, secondo Baron Cohen, potrebbe mettere a repentaglio l'assetto costituzionale dei Paesi occidentali. «Credo che le nostre democrazie pluraliste siano sull’orlo del baratro», afferma.
[video width="400" height="224" mp4="https://left.it/wp-content/uploads/2019/11/SBC.mp4" autoplay="true"][/video]
Per questo motivo, il comico nel suo discorso avanza diverse proposte. La prima riguarda la disparità di trattamento tra social network ed imprese editoriali, una disparità che dovrebbe finire. «È venuto il momento di chiamare queste società (i social network,
ndr) con il loro vero nome: sono i più grandi editori della storia. Ed ecco un’idea anche per loro: attenetevi agli standard e alle prassi fondamentali dei giornali, dei magazine e delle notizie televisive».
E poi, altro punto, perché permettere che ogni post pubblicizzato di propaganda politica sia diffuso, senza alcuna verifica preliminare? «Consideriamo la questione delle inserzioni politiche - spiega ancora l'attore -. Per fortuna Twitter le ha bandite, alla fine. Google sta mettendo a punto dei cambiamenti. Ma se le paghi, Facebook invece pubblicherebbe qualsiasi inserzione “politica” tu gli chieda, anche se è falsa. E ti aiuterà perfino a micro-targettizzarla per ottenere dagli utenti il massimo effetto. Usando questa logica distorta, se Facebook fosse esistito negli anni ’30, avrebbe permesso a Hitler di postare spot di 30 secondi sulla sua “soluzione” per “il problema degli ebrei”. Per cui, ecco un buon standard e una buona prassi: Facebook, comincia a verificare la verità delle inserzioni a carattere politico prima di farli girare, smetti di microtargettizzarle subito e quando si capisce che sono false, restituisci i soldi e non pubblicarle».
Nel suo discorso, il comico, sceneggiatore e produttore britannico tiene conto anche del recente discorso del Ceo di Facebook Mark Zuckerberg, in cui «metteva tutti in guardia contro le nuove leggi e i nuovi regolamenti pensati per aziende come la sua». «Alcune delle sue argomentazioni - spiega Baron Cohen - sono semplicemente assurde». E, a suo avviso, sarebbero motivate semplicemente dalla paura di diminuire i profitti della azienda della Silicon Valley.
Ad esempio, dice ancora l'attore: «Quando discute sulla difficoltà di rimuovere i contenuti, Zuckerberg ha chiesto: "Dove si traccia la linea?". Sì, tracciare la linea può essere difficile. Ma quello che dice davvero è un’altra cosa: rimuovere le falsità dalla rete è troppo costoso. Queste sono le aziende più ricche del mondo. E hanno i migliori ingegneri del mondo. Potrebbero, se volessero, risolvere tutti questi problemi. Twitter potrebbe utilizzare un algoritmo che toglierebbe l’hate speech dei suprematisti bianchi, ma non lo fa perché, a quanto pare, rischia di buttar fuori qualche politico molto importante. Forse non sarebbe così male! La verità è che queste aziende non cambieranno mai veramente perché il loro intero business model è basato sul generare più engagement dell’utente, e niente lo riesce a fare meglio delle bugie, della paura e dello sdegno».
Una denuncia forte, insomma, quella dell'attore britannico, che rivendica di aver per tutta la vita e con passione lanciato «sfide all’intolleranza e al fanatismo». In Italia, tra i primi a volerla fare propria sono stati gli esponenti di Italia Viva, fautori - onorevole Luigi Marattin in prima fila - della proposta di rendere obbligatoria la carta di identità per accedere ai social. Un'idea nata con lo scopo di frenare l'odio e la disinformazione sulla rete, che però è stata
fortemente criticata da numerosi esperti (e di cui
ci siamo occupati anche nelle pagine del nostro settimanale, con un commento di Silvia De Conca) in quanto inefficace e antidemocratica.
Il punto, ad ogni modo, è che - a differenza di quanto forse pensano gli esponenti del nuovo partito di Renzi - l'attore non lascia intendere in alcuna parte del suo discorso di condividere una proposta come quella avanzata da Italia viva. Al contrario, lungi dal richiedere un ulteriore impegno da parte dei cittadini, l'orazione di Baron Cohen sottolinea la necessità di uno sforzo della controparte, quelle piattaforme 2.0 che temono di dover decurtare i loro lauti profitti per assolvere all'impegno di mantenere un ecosistema informativo decente, in cui fascismo, razzismo, misoginia, non siano benvenute.
«Se Facebook fosse esistito negli anni 30, avrebbe permesso a Hitler di postare spot di trenta secondi sulla sua “soluzione” per “il problema degli ebrei”». Non usa mezzi termini l’attore Sacha Baron Cohen, nel potente discorso pronunciato durante una serata organizzata a New York dall’Anti defamation league, ong ebraica con sede negli stati Uniti che combatte antisemitismo e pregiudizi. Stavolta l’ideatore di Borat e Ali G non ha indossato le vesti di uno dei protagonisti delle sue celebri gag, ma ha parlato a nome suo, impersonando il suo «personaggio meno popolare, cioè Sacha Baron Cohen». Nel mirino ci sono il ruolo dei social network nella nostra società, la loro mancanza di responsabilità e l’inerzia nel limitare la diffusione di fake news e discorsi d’odio. Per Baron Cohen c’è «un pugno di società della rete che costituiscono la più grande macchina di propaganda della storia». Chi sono? «Facebook, YouTube e Google, Twitter e tutti gli altri», dice l’attore senza girarci attorno.
«Gli algoritmi su cui sono basate queste piattaforme – spiega – amplificano deliberatamente quei contenuti che permettono di mantenere coinvolto l’utente. Cioè storie che solleticano i nostri istinti più bassi e che fanno scattare lo sdegno e la paura. È per questa ragione che YouTube consiglia miliardi di volte video come quelli di Alex Jones, il famoso cospirazionista. È per questa ragione che le fake news battono le vere notizie – lo dimostrano anche alcuni studi: le bugie si diffondono a una velocità maggiore rispetto alla verità. E non c’è nessuna sorpresa nel fatto che la più grande macchina di propaganda della storia abbia contribuito a diffondere la più antica teoria cospirazionista della storia: la bugia secondo cui gli ebrei siano, in qualche modo, pericolosi. Come recitava un titolo di giornale: “Pensate soltanto a cosa avrebbe potuto fare Goebbels se ci fosse stato Facebook”».
Insomma, i social network vengono accusati di fare poco o niente per impedire un loro uso distorto e pericoloso quando finiscono “nelle mani sbagliate”. «Oggi, in tutto il mondo – dice l’attore – ci sono demagoghi che fanno appello ai nostri istinti peggiori. E quelle teorie del complotto che una volta rimanevano confinate ai margini della società, ora sono mainstream. È come se l’Età dei Lumi, quella delle argomentazioni basate sui fatti, stesse finendo, delegittimando la conoscenza e rifiutando il consenso scientifico. La democrazia, che si basa su verità condivise, è in ritirata. E l’autocrazia, che invece dipende da bugie condivise, sta avanzando. I delitti basati sull’odio stanno crescendo, così come gli attacchi omicidi contro le minoranze religiose ed etniche Cosa hanno in comune tutte queste tendenze pericolose? Io sono solo un attore comico, non uno studioso. Ma una cosa mi è molto chiara. Tutto questo odio, tutta questa violenza, sono agevolati da una pugno di società della rete che costituiscono la più grande macchina di propaganda della storia».
E questa oligarchia del potere informativo, secondo Baron Cohen, potrebbe mettere a repentaglio l’assetto costituzionale dei Paesi occidentali. «Credo che le nostre democrazie pluraliste siano sull’orlo del baratro», afferma.
Per questo motivo, il comico nel suo discorso avanza diverse proposte. La prima riguarda la disparità di trattamento tra social network ed imprese editoriali, una disparità che dovrebbe finire. «È venuto il momento di chiamare queste società (i social network, ndr) con il loro vero nome: sono i più grandi editori della storia. Ed ecco un’idea anche per loro: attenetevi agli standard e alle prassi fondamentali dei giornali, dei magazine e delle notizie televisive».
E poi, altro punto, perché permettere che ogni post pubblicizzato di propaganda politica sia diffuso, senza alcuna verifica preliminare? «Consideriamo la questione delle inserzioni politiche – spiega ancora l’attore -. Per fortuna Twitter le ha bandite, alla fine. Google sta mettendo a punto dei cambiamenti. Ma se le paghi, Facebook invece pubblicherebbe qualsiasi inserzione “politica” tu gli chieda, anche se è falsa. E ti aiuterà perfino a micro-targettizzarla per ottenere dagli utenti il massimo effetto. Usando questa logica distorta, se Facebook fosse esistito negli anni ’30, avrebbe permesso a Hitler di postare spot di 30 secondi sulla sua “soluzione” per “il problema degli ebrei”. Per cui, ecco un buon standard e una buona prassi: Facebook, comincia a verificare la verità delle inserzioni a carattere politico prima di farli girare, smetti di microtargettizzarle subito e quando si capisce che sono false, restituisci i soldi e non pubblicarle».
Nel suo discorso, il comico, sceneggiatore e produttore britannico tiene conto anche del recente discorso del Ceo di Facebook Mark Zuckerberg, in cui «metteva tutti in guardia contro le nuove leggi e i nuovi regolamenti pensati per aziende come la sua». «Alcune delle sue argomentazioni – spiega Baron Cohen – sono semplicemente assurde». E, a suo avviso, sarebbero motivate semplicemente dalla paura di diminuire i profitti della azienda della Silicon Valley.
Ad esempio, dice ancora l’attore: «Quando discute sulla difficoltà di rimuovere i contenuti, Zuckerberg ha chiesto: “Dove si traccia la linea?”. Sì, tracciare la linea può essere difficile. Ma quello che dice davvero è un’altra cosa: rimuovere le falsità dalla rete è troppo costoso. Queste sono le aziende più ricche del mondo. E hanno i migliori ingegneri del mondo. Potrebbero, se volessero, risolvere tutti questi problemi. Twitter potrebbe utilizzare un algoritmo che toglierebbe l’hate speech dei suprematisti bianchi, ma non lo fa perché, a quanto pare, rischia di buttar fuori qualche politico molto importante. Forse non sarebbe così male! La verità è che queste aziende non cambieranno mai veramente perché il loro intero business model è basato sul generare più engagement dell’utente, e niente lo riesce a fare meglio delle bugie, della paura e dello sdegno».
Una denuncia forte, insomma, quella dell’attore britannico, che rivendica di aver per tutta la vita e con passione lanciato «sfide all’intolleranza e al fanatismo». In Italia, tra i primi a volerla fare propria sono stati gli esponenti di Italia Viva, fautori – onorevole Luigi Marattin in prima fila – della proposta di rendere obbligatoria la carta di identità per accedere ai social. Un’idea nata con lo scopo di frenare l’odio e la disinformazione sulla rete, che però è stata fortemente criticata da numerosi esperti (e di cui ci siamo occupati anche nelle pagine del nostro settimanale, con un commento di Silvia De Conca) in quanto inefficace e antidemocratica.
Il punto, ad ogni modo, è che – a differenza di quanto forse pensano gli esponenti del nuovo partito di Renzi – l’attore non lascia intendere in alcuna parte del suo discorso di condividere una proposta come quella avanzata da Italia viva. Al contrario, lungi dal richiedere un ulteriore impegno da parte dei cittadini, l’orazione di Baron Cohen sottolinea la necessità di uno sforzo della controparte, quelle piattaforme 2.0 che temono di dover decurtare i loro lauti profitti per assolvere all’impegno di mantenere un ecosistema informativo decente, in cui fascismo, razzismo, misoginia, non siano benvenute.