A proposito della tanto decantata virata sull’evasione fiscale di questo governo (che dovrebbe virare su un bel po’ di argomenti ma continua spedito, dritto) ci sono dei numeri che raccontano perfettamente come sarebbe possibile dare segnali forti (anche quelli, sempre promessi, in calce a ogni governo che si rispetti) con il minimo sforzo.
Se avete bisogno dei nomi e dei cognomi, delle partite Iva, degli indirizzi e dei citofoni di quelli che “evadendo rubano soldi alla collettività” (parole dell’esponente di punta di governo, l’avvocato degli italiani) allora vi basta spulciare nel rapporto di R&S Mediobanca (che non sono propriamente dei pericolosi comunisti) per accorgersi che nel 2018 i «big del web» con una filiale nel nostro Paese hanno lasciato al fisco italiano una cifra irrisoria: 64 milioni di euro (sempre più dei 59 milioni versati nel 2017, eh). Microsoft ha pagato 16,5 milioni, 12,5 milioni di Apple, Amazon 6 milioni, Google 4,7 milioni, Oracle 3,2 milioni, Facebook 1,7 milioni, Uber 153 mila euro e Alibaba solo 20 mila euro.
A livello mondiale fra il 2014 e il 2018 i giganti del web hanno risparmiato oltre 49 miliardi di euro di tasse a livello globale, domiciliando circa la metà dell’utile ante imposte in Paesi a fiscalità agevolata.
Sono le stesse società che vengono celebrate ogni piè sospinto per il loro miracoloso business. Sì, sono loro, quelli bravissimi a fare slalom tra le norme. E la mancanza di una web tax (e la distrazione dell’Europa) rendono tutto questo terribilmente facile.
Inutile ricordare che di solito le battaglie andrebbero fatte partendo dai colossi, quelli che governano l’economia molto spesso più della politica. Inutile dire che ci vorrebbe fegato per portare la questione all’ordine del giorno. E inutile dire che la credibilità di un governo (di qualsiasi governo) si rivela proprio quando ha il coraggio di regolamentare i potenti, mica i sottomessi.
E volendo è tutto qui, con nome e cognome, senza nemmeno bisogno di sventolare manette.
Buon giovedì.