L’inizio è epico . Una introduzione da concept album. Tre parti di chitarre elettriche. Si rincorrono come voci, come in un dialogo tra persone, che in cerchio parlano, discutono , scambiano suoni e sensazioni, idee e rimandi. Un dialogo tra Gary Lucas, incontenibile chitarrista, un immaginario Jeff Buckley ma presente come autore dei testi e delle melodie e The Niro, interprete straordinario di un sogno che esplode letteralmente lungo l’arco che gli stessi protagonisti tendono con dodici meravigliosi poemi.
Il cuore e la passione vivono in questi lavori destinati irrimediabilmente all’oblìo se Lucas, e la coraggiosa quanto lungimirante etichetta Esordisco di Pierre Ruiz, non fossero intervenuti proprio a venticinque anni di distanza da quel capolavoro, Grace che Buckley aveva sapientemente cesellato e poi pubblicato in quella torrida estate del 1994, anno orfano di Kurt Cobain, che qualche mese prima si era suicidato.
Ma un 1994 anche da ricordare per questo autore, Jeffrey Scott Buckley, anche lui prematuramente scomparso (maggio 1997) dopo una intensa manciata di canzoni, un album solista e altri postumi, come vuole da sempre la cinica legge del mercato. L’avventura era iniziata qualche anno prima, tra il 1991 e il 1992 quando il Buckley, chitarrista e cantante, abbandonando la natìa California , con un cognome pesante da portare (il padre Tim era stato un innovatore folk-singer della fine anni ’60 ricordato soprattutto per la estrema versatilità vocale) e come il padre altrettanto capace di mirabolanti imprese sonore, approda a New York, altro ombelico del mondo dell’arte dove aderisce al progetto di Gary Lucas. “Gods and Monsters”, è un ensemble dedito al rock e alla psichedelìa e che nei pensieri dello stesso chitarrista di Syracuse doveva diventare una sorta di band simil-Led Zeppelin.
Buckley diventa così la “voce” di Gary, in un connubio, all’interno della band, che si esibirà dal vivo solo un paio di volte. In quel lasso di tempo i due però, inizialmente affiatati ma concentrati al contempo su progetti personali, scriveranno ben dodici canzoni registrate in forma demo. Alcuni brani vedranno la luce in una elegante confezione box del 2002 dal titolo Song To No One, e, per incanto, in modo diverso e unico, su questo prezioso album che si presenta coraggiosamente, e a ragione, sul mercato mondiale intitolato The Complete Jeff Buckley and Gary Lucas Songbook – The Niro featuring Gary Lucas.
Una copertina semplice con una esplosione di colori; la tavolozza del pittore che fa presagire sfumature, toni forti, tinte indelebili per delle straordinarie composizioni affidate alle dorate corde vocali di The Niro – al secolo l’italiano Davide Combusti – che conduce le danze fin dalla prima traccia, “No One Must Find You Here”, provocatoriamente pubblicata come singolo (9 minuti e 12 secondi la durata). Questa lunga suite detta subito le direzioni di una imbarcazione pronta a salpare su quell’oceano di rumore (cit.) che i protagonisti – una band di elevato livello interpretativo – affronteranno per un’ora, navigando con lo scopo preciso di arrivare a scoprire la loro “America”, rappresentata da quel nugolo di canzoni – di cui cinque mai sentite prima da nessuno.
L’incipit dei tre suoni, come anticipato, è forse la ricerca di un rapporto; la narrazione di tre voci che ricordano tremendamente la musica “raga” e le influenze di Buckley, particolarmente Nusrat Fateh Ali Khan, re del Qawwali, la musica devozionale del Pakistan. Artista al quale Jeff aveva spesso rivolto lo sguardo artistico per catturarne le ombre più nascoste, forse il senso di una spiritualità che lui, voce d’angelo, avrebbe voluto sviluppare meglio se non avesse perso la vita in un fatale incidente.
The Niro, forse inconsciamente, affronta e arrangia con Lucas, Francesco Arpino e il notevole bassista Phil Spalding, già alla corte di Roger Daltrey, Mick Jagger e Elton John, questa lunga composizione, che ha picchi e valli in continuazione, proprio come deve essere certa musica “alta”; pensata sì, ma con le autentiche intenzioni di dar vita a un bambino che rischiava di non nascere mai. E’ questa la strabiliante scoperta sonora che il cantante porta alla luce, senza nessun timore verso la figura di Buckley, gigante indiscusso e autore di quel già citato album seminale – Grace – che indurrà tanti artisti a dover rivedere i propri piani. The Niro è al centro esatto di quelle composizioni laddove, forse per orgoglio e giustificate velleità, lo stesso Jeff le aveva in parte lasciate.
Una raccolta che brilla per l’intelligente abilità del chitarrista Lucas che ha visto in The Niro l’unico possibile interprete di quel tesoro custodito in un forziere. Combusti, senza nessuna mappa, ha accettato di scoprire e interpretare alla sua maniera i brani, rimanendo rispettoso delle parti originali ma disegnando il proprio tratto stilistico in una serie di passaggi che i suoi più attenti fan avranno sicuramente notato.
Lucas, poliedrico scultore sonico, capace di raccontare su tutte le tracce dell’album la storia della musica contemporanea, porta gli ascoltatori a riscoprire il rock classico, la world music, il country folk, il punk, il blues, la psichedelìa, l’avant-garde. Questo album è un capolavoro, inserito in un contesto musicale certamente affollato da milioni di musicisti, ma che spicca per il livello qualitativo delle composizioni, delle sperimentazioni in esse contenute; per le ritmiche indiavolate e per i cambi di groove; per le tastiere mai invadenti che sottolineano l’evidente cura che la produzione artistica ha saputo infondere in un progetto sfidante e che ha avuto già la sua première in quel di New York, proprio dove nacquero le canzoni.
“Story Without Words”, con un riff di chitarra acustica che corre lungo tutto il brano (che se fosse al rallentatore ricorderebbe quello di “Big Love” dei Fleetwood Mac), si alterna al tempo “tagliato” punkeggiante dove basso e batteria accompagnano solidamente la voce. Il terzo brano, “In the Cantina” (che sarà anche un video-clip prossimamente in rotazione), è un brano d’atmosfera, dove l’elaborato organo di Arpino fa da tappeto sonoro, quasi floydiano, alla canzone, in cui The Niro ci fa vivere quella matrice folk di fondo nella reiterazione del ritornello, incastrando voci misteriose alla principale, in un mix di suoni davvero intrigante. Si cambia marcia con “Bluebird Blues”, ed è ancora la chitarra del Professor Lucas che ci consegna una ballad country-gospel con tanto di hand-claps, dove il dialogo tra la voce e lo strumento si dipana lungo tutta la traccia alternando stop e ripartenze. Davvero divertente, giocosa.
“In “Distortion” si inizia ad intravedere qualcosa ancora di più delle idee, musicali, originali, di Lucas che qui vengono mutuate dagli interventi della band . Forse uno dei brani più complessi. Ma è con la rilettura di “Mojo Pin” che si approda alla prima isola conosciuta, il Buckley più noto, dove un elegante lavoro alle voci di The Niro, ne caratterizza la rilettura. E’ in versione acustica, come nei demo del 1991 “presentata” dagli autori originali, ma che dà la possibilità a tutti di apprezzare le notevoli nuance del cantante italiano, che sa aggiungere il proprio modo interpretativo, lasciando all’originale quella drammaticità, che se replicata in questo contesto avrebbe di certo fatto gridare al “clone”. Così come è assolutamente acustica, forse tra i migliori episodi di questo album, la “Song to No One” dove la immensa cultura di Lucas – che ricordiamo già con la Magic Band di Captain Beefhart, e collaboratore di un numero elevatissimo di artisti (Lou Reed, Nick Cave, John Cale, Leonard Bernstein, Patti Smith, Iggy Pop, Brian Ferry), attinge sommessamente alla open tuning di “Little Martha” degli Allman Brothers Band e a certe modalità di Joni Mitchell prima maniera, regalando agli ascoltatori un piccolo viaggio negli anni ’70. “She is Free”, che già nel demo originale presentava un riff davvero “catchy”, è giustamente il singolo da trasmettere in radio e per il quale la Esordisco ha prodotto anche un video-clip, dove i due artisti, The Niro e Lucas, non appaiono, lasciando così parlare le immagini.
Cercatelo, perché sono tre minuti e mezzo di tenerezza che vi accompagneranno nelle prossime giornate invernali. Il coro potrebbe diventare un gioco da condividere dal vivo con i musicisti chiamati con questo pezzo pop anche a divertirsi. “Harem Man” è uno dei brani che omaggia i Led Zeppelin, antichi amori di Buckley e Lucas. La rilettura e gli arrangiamenti, decisamente contemporanei, non abbandonano questa antica passione che The Niro ci fa vivere pienamente con una voce forse meno tirata ma che nel brano “Cruel”, con un riff di chitarra elettrica da ricordare (Stratocaster e leva) tocca l’apice. I ritmi e le influenze di Buckley, Lucas e The Niro sono anche tutte presenti in “Malign Fiesta (no Soul)” dove il cantautore italiano mostra controllo, intonazione, estensione e ritmo. Il disco cresce ogni volta che si riascolta, e ci si rende conto che l’ensemble, messo insieme dalla produzione, è di notevole fattura: Puccio Panettieri alla batteria (già con Mannarino e Carmen Consoli), coadiuvato dal citato Spalding e dal creativo bassista Maurizio Mariani (già con Barbarossa, P.Pravo, Banco, Panceri), hanno personalità ed ecletticismo da vendere.
Nulla da invidiare a dischi d’oltreoceano. Questi musicisti narrano molto di loro nella sfida che hanno voluto raccogliere, infondendo alle composizioni attualità e tecnica. Capaci coralmente di esprimere rispetto verso le idee originali, rendono questo lavoro davvero un’opera di pregio. E il tocco di classe in diversi episodi è l’aggiunta del violoncello di Mattia Boschi che nella linearità delle note si affianca alla voce e al piano, come accade nella reinterpretazione di quella “Grace” che chiude un disco, che se da una parte arricchisce elegantemente il catalogo di Buckley, dall’altra, porta The Niro e Lucas verso una nuova sfida che gli stessi potrebbero lanciare in una prossima pubblicazione. Una nuova strada che li possa allontanare con affetto dal loro “dream brother”, che come una stella cadente ha attraversato un periodo di tempo davvero infinitesimale ma che per la forza posseduta è rimasta lì, ferma, a brillare per tutti . The Niro e Lucas lo raccontano con coraggio in queste dodici tracce; non un punto d’arrivo ma l’inizio di qualcosa di nuovo e bello che ci auguriamo possa rivelarsi in un cielo pieno di suoni.
Di seguito la lunga chiacchierata con The Niro. Ringraziamo Maria Grazia Umbro per la disponibilità presso
la caffetteria Blue Room di Roma
Ciao Davide, la prima cosa che ti vogliamo chiedere è come nasce questa esperienza e come è nato questo incontro con Gary Lucas, un chitarrista molto sofisticato, non conosciuto da molti.
The Niro : Mi è capitato recentemente di fare un’intervista con una radio svizzera che trasmette brani da tutto il mondo. Una Babele di musiche, suoni…. non so, ad esempio un brano di 007 fatto dalla banda rom jugoslava oppure il pezzo finlandese. Ad un certo punto mi fanno ascoltare un brano che sembrava qualcosa degli Yellow Jackets, un po’ jazz, e mi chiedono ”Alla chitarra hai riconosciuto chi c’è?” – Beh, penso, se me lo chiedono…mi butto…“Gary Lucas?!” rispondo io…”Sì” – Questo era un pezzo totalmente folle, fuori di testa. Tornato a casa ho approfondito i lavori di Lucas. E’ uno che spazia dalla musica di Taiwan, a cose legate a Israele oppure musica cinese e altro.
E’ pazzesco. E’ eclettico.
Sì, è un personaggio incredibile.
Sappiamo che insegna, fa lezioni di musica
Sì è un docente universitario. Sulla pagina di Facebook vai lì e ti comincia a postare tantissime cose. Di ogni genere. Cose conosciute e cose sconosciute.
E’ un ricercatore…
Sì, un ricercatore. Credo che questa cosa sia iniziata quando iniziò a collaborare con Captain Beefhart. Iniziò questa ricerca sul suono da trasporre poi sulla chitarra. Un’altra cosa che mi aveva colpito era il continuo cambiare accordatura allo strumento.
Che poi è anche una caratteristica di tutta quella musica proveniente dalla California con un uso di accordature aperte abbastanza elevato, a partire da Joni Mitchell, David Crosby ecc
Sì esatto..in Re e Sol aperto ma lui poi ne inventa altre che penso siano solo sue. Quando capita di fare promozione per riproporre questi brani devo un po’ personalizzarli, altrimenti dovrei chiamare Gary ogni volta e chiedergli che accordature bisogna usare di volta in volta.
Nella prima esibizione in assoluto, avvenuta a Roma, te non suonavi però. C’era solo lui con la chitarra e di volta in volta passava del tempo tra un pezzo l’altro proprio per il cambio delle accordature…
No, non suonavo…ha suonato qualcosa il pianista (Francesco Arpino, produttore, tastierista e chitarre all’uopo, ndr) . No, io l’impegno grosso l’ho messo sulla voce. La data fu confermata abbastanza a ridosso del concerto stesso e i brani sono abbastanza impegnativi. Non solo a livello vocale ma anche a livello testuale. Un paio di brani in particolare, “Distortion” e “Malign Fiesta”, che sono degli scioglilingua , soprattutto la seconda. Quindi mi sono concentrato sulla voce. Magari più avanti…
Come inizia questo rapporto con Lucas?
Questo rapporto inizia tramite Gigi Pastore, che è un ragazzo che collabora con la mia agenzia di booking, che un giorno mi manda uno screenshot di una conversazione avvenuta in inglese, di qualcuno che diceva “Conosco The Niro, grande voce, grande chitarra, mi piacerebbe andare in tour con lui, digli che ho delle canzoni scritte con Jeff Buckley inedite da fargli cantare”. Io chiamo Gigi e gli chiedo “ Bello, ma chi è?” – “Come chi è? E’ Gary Lucas!”. Pastore e Lucas si erano conosciuti qualche anno prima a Bologna in occasione di un concerto. Gigi prosegue : “Gli ho chiesto quando tornava in Italia…e lui mi risponde che gli piacerebbe e che gli servirebbe un Jeff Buckley, qualcuno che canti questi brani …ma The Niro lo conosci?” – Lucas: “Sì lo conosco”. Quindi chiedo a Gigi di mettermi in contatto con lui. Lucas probabilmente mi conosceva perché qualche anno fa, in occasione di un concerto tributo a Rimini dedicato a Buckley – organizzato anche dalla mamma di Jeff, Mary Guibert (il concerto alla fine non si terrà, ndr), durante la fase preparatoria un mediatore mi contattò come vocalist e io risposi “No, grazie”. All’epoca l’accostamento a Jeff Buckley mi dava particolarmente fastidio. Ma non era per un discorso di valore artistico…per carità…avrebbero potuto accostarmi a qualcosa di peggio ah ah ah…ero felice, certo…ma Buckley non era un mio riferimento musicale. Mai stato. Poi io nasco batterista, figurati. Prima metallaro, poi punk per arrivare al brit-pop, al grunge, alle band. I cantautori non li seguivo. Quando ho iniziato a fare il cantautore, allora mi hanno iniziato ad accostare..però in realtà è tutto uno sviluppo mio. Sono figlio di mille artisti che ho ascoltato. Ascoltavo musica inglese o portoghese. Joao Gilberto, Deodato. Ho tutte queste influenze. Anche l’approccio con lo strumento avviene con la chitarra classica che secondo me viene da quella musica; anche dalla bossa nova, che sono riuscito ad acquisire tramite le colonne sonore. E quindi questo accostamento con Buckley non lo sentivo “mio”. Tutti mi dicevano questa cosa “mi ricordi Buckley” e un po’ mi dispiaceva. Perché invece sentivo di esprimere qualcosa di personale. E all’epoca rifiutai l’invito. Probabilmente Lucas si ricordava di questo episodio ed essendo una persona curiosa, avrà poi approfondito i miei lavori. Per cui forse il motivo della mia conoscenza può essere questo. Sono passati degli anni e di questo aspetto, quello di essere accostato a qualcun altro, non me ne importa più niente. Da una parte non mi dà più fastidio; dall’altra mi viene riconosciuta una personalità. A livello compositivo, interpretativo. E tornando all’idea di Gary, riflettendo sulla proposta mi dico “Sai che c’è? Lo faccio”. E così chiedo a Pastore di mettermi in contatto. Soprattutto ero incuriosito da questi brani inediti. Così mi arriva la mail di Gary, che rompendo gli indugi, invece di scrivermi “voglio andare in tour con te” scrive una cosa sorprendente “Quello che ti propongo Davide, è racchiudere i dodici brani che io ho scritto nel periodo in cui ho collaborato cin Jeff Buckley, di cui due fanno parte di Grace, cinque fanno parte di “Song To No One” e cinque brani mai stati pubblicati prima. In più se vuoi, potremmo fare tre cover, un pezzo di Van Morrison “Sweet Thing”, uno di Dylan “Dingo’s song”, e “Hymne à L’amour” di Edith Piaf…Di questi tre brani non ne ho mai parlato a nessuno.
Poi volevo dirti, a proposito, di questo materiale inedito, che tempo fa mentre mi incuriosivo di questa tua storia, andando a rileggere un’intervista del passato di Buckley, lui dichiarava che con Lucas aveva scritto dodici o tredici brani…i dodici sappiamo quali sono. Tu sai qualcosa di questo altro brano?
Io so che Gary ne aveva scritto un altro per Jeff, però poi non ci ha lavorato. Forse ha detto tredici perché contava di lavorare su questo tredicesimo, però forse non l’ha mai inciso insieme a Lucas…e poi spesso loro lavoravano a distanza. Gary mandava le musiche e lui ci cantava sopra.
Però il demo , insomma il cd che uscì nel 2002, sembrava proprio come se l’avessero registrato insieme…
Quello è live! Quelle versioni sono realizzate durante un concerto dei Gods & Mosters alla St. Ann Church a Brooklyn, in cui Jeff Buckley cantava. Fecero tutti e dodici i brani, mi risulta…il giorno dopo questa esibizione Jeff chiama Gary dicendogli “io voglio fare il solista”, arrivederci e grazie. Dopo due anni Gary viene richiamato da Jeff “Ho firmato per la Columbia, ti andrebbe di registrare le chitarre per un paio di brani (su Mojo Pin e Grace, infatti c’è la “Magic Guitarness” di Lucas citata nei credits, ndr) che avevamo fatto insieme?” In realtà provarono a registrarne altri due: “She’s free” fu rifiutata da Buckley in quanto troppo pop. Quindi non era nel contesto di “Grace”. Poi magari poteva riuscire in un altro momento. E provarono a fare anche “No One Find Must You Here”. Non so se poi esistono anche delle demo o delle registrazioni di queste.
E quindi arriva la mail…dove Lucas ti propone l’incisione di un album…
Beh, prima di tutto, mi sono fatto un viaggio interiore…che faccio?…mi hanno sempre detto che sembro Buckley, vuoi fare Buckley…tutta la vita…
Eri ossessionato…
sì…ero…Poi la cosa si è ripresentata e ho iniziato a pensare…mmm…qui posso dare anche il meglio di me comunque i fan mi massacreranno…quindi devo essere a posto dentro di me nell’accettare una cosa del genere…
Che poi c’è un altro aspetto…te per anni hai rifiutato quel ruolo..adesso invece “ah vedi ora lo fa…” “ci ha ripensato”…ah ah
Esatto…però la risposta che mi sono dato è “Però me l’ ha chiesto lui” ah ah ah
Ma la risposta artistica è di grandissimo livello. Il disco è fatto veramente molto bene.
Di questo sono molto felice.
Ci sono sonorità e sperimentazioni all’interno del disco. Che è godibilissimo. Non so chi ha potuto fare una recensione negativa come dicevi prima di iniziare questa intervista…
Ma è una persona che forse non l’ha sentito. Perché dice che tutto il disco è “pop”. Non è possibile dire una cosa del genere…
Il disco spazia…qui si vede la grandissima esperienza e cultura di Lucas. Ha un tipo di scrittura che passa dal country folk con le accordature aperte, ai Led Zeppelin e altre cose che ci sono dentro. E’ a 360° su tutta la musica.
Infatti nelle interviste quando mi chiedono…rispondo: questo è un viaggio nella musica, perché c’è tutto. Tocca talmente tanti generi in un album solo. Finisci di ascoltarlo e dici “ah..che bello” – a prescindere dagli aspetti vocali. E’ proprio l’elogio della scrittura di uno che finalmente ha potuto dire la sua.
E’ un compendio di musica. Poi tu hai questa grandissima capacità vocale che completa questo suo lavoro di ricerca. Poi Buckley c’è. Sta lì come autore delle melodie originali e dei testi. Però c’è anche il tuo apporto che mi sembra notevole.
Grazie.
Poi tu lo sai, il giornale Left è una rivista in un certo modo. Ci interessano molto le sensazioni, i sentimenti…capire in profondità le cose..quindi vorrei chiederti che tipo di rapporto hai avuto con queste composizioni. Penso che tu abbia letto molto bene i testi. Che ci racconta Buckley? E tu come ti sei rapportato con i pezzi scritti da un altro, scritti tempo fa?
Tecnicamente è stato un viaggio impegnativo..perché mi ha anche “costretto” a cimentarmi con l’hard-rock, con il blues, quindi modi di cantare non propriamente miei…mi ha fatto crescere…e quindi c’è stato un lavoro. In realtà a livello emotivo non ce ne è stato molto perché…nel senso che ho empatizzato immediatamente con le tematiche esistenziali, relazionali ..si sentiva che c’era qualcosa ..qualche problema affettivo che lui viveva…
Cosa ci hai trovato di te stesso?
Tutto.
Tocca dei temi universali…
Tocca dei temi universali ma io a livello affettivo ho cercato di risolvere i miei scompensi sentimentali nella musica (nel frattempo, diabolicamente arriva una chiamata di Lucas…, ndr).
Come ti sei relazionato con queste canzoni anche perchè Lucas non lo conoscevi e Buckley, come detto, non lo avevi “idolatrato”…so che avete impiegato solo dieci giorni per incidere l’album…quale è stato il processo…
Abbiamo passato i primi tre giorni a registrare le chitarre di Gary. Subito con Francesco Arpino abbiamo iniziato a capire le strutture. E’ stata una operazione “taglia e cuci”. C’erano brani molto lunghi. Altri che avevano solo un ritornello. Abbiamo cercato di ottimizzare la scrittura perché quei brani lì erano figli di un primo concerto, che avrebbero subito sicuramente un processo di …..Nella testa mia e di Francesco è nata l’esigenza di come sarebbero potuti diventare nella loro testa e come avrebbero potuto invece diventare nella nostra. Un po’ come il processo dello zucchero. Abbiamo tentato di raffinare il tutto e di renderle canzoni. Ci sono brani di nove minuti come la prima (originariamente di dodici) che abbiamo appunto tagliato. C’erano delle parti lunghe che abbiamo ridotto. Ma il brano finisce che sembra sia passato un attimo. Forse la magia della canzone sta lì. Oppure in altri brani abbiamo aggiunto un ritornello alla fine come in “She Is Free”. Poi abbiamo trascorso due giorni al MOB studio, sempre a Roma per registrare le ritmiche. C’erano dei ragazzi di Studio35 live che collaborano spesso con Sky Arte che sono venuti e hanno girato un documentario. E in quelle giornate abbiamo suonato anche cinque versioni live con Phil Spalding al basso, Mattia Boschi al violoncello, Panettieri alla batteria, Arpino al piano, Lucas e io alla voce.
Questo video esce…?!
Esce un “Making Of” per Rolling Stone in questi giorni e nella versione in vinile dell’album ci saranno anche un paio di brani live di “In the Cantina” e “Cruel”. Ma ne abbiamo anche altri tre volendo, che sono “No One Find You Must Here”, “Grace” e “Mojo Pin”.
Quali sono i brani invece dove ti sei trovato più a tuo agio?
“In the Cantina”…un pezzo che avrei potuto scrivere io…mi capita spesso di suonarlo dal vivo, voce e chitarra…fa parte ormai del mio repertorio..non solo del progetto The Niro / Lucas. E “Mojo Pin”, pure è un altro brano che sento particolarmente mio, perché ogni volta lo faccio in modo diverso. Come se fosse creta nelle mie mani e nella mia voce. Invece gli altri brani , secondo me, possono venire benissimo solo con Gary. Lui ha un modo di suonare particolare. Non mi sono cimentato.
Anche la stessa “Song To No One” mi sembra particolare. Tra l’altro con la chitarra acustica. A differenza del demo originale che era realizzato con la chitarra elettrica se non vado errato, secondo me funziona di più come l’avete fatta voi…però è anche vero che lì era un demo!
Certo!
Chissà come sarebbe potuta essere!
The Niro: E’ esattamente quello il punto…
Quindi tu hai ascoltato i demo originali. Come cantati da Buckley…
Sì. E Il lavoro è bello perché , sebbene i cinque pezzi inediti un po’ in giro si trovavano, anche se ripresi alla buona… è che quelli , aggiunti ad altri cinque, non erano mai stati registrati in studio prima d’ora.
Diciamo che questo progetto ti lascia immaginare, ti lascia viaggiare con la testa…chissà Buckley come l’avrebbe realizzato; però poi, di contro, c’è questo risultato che mi sembra straordinario, che aggiunge un capitolo alla storia di questo sfortunato autore americano che aveva intrapreso una strada creativa bellissima.
Sì, certo.
Accennavi ai componenti della band. Secondo me straordinari e il disco è di caratura internazionale. C’è una grandissima versatilità nei suoni. Questi musicisti sono quelli che ti accompagnano dal vivo?
Puccio Panettieri è stato il batterista per una decina d’anni di Carmen Consoli e ora suona con Mannarino. Maurizio Mariani che suona il basso, ha lavorato con Barbarossa, Zarrillo, Patti Pravo. ”. Mattia Boschi con Giusy Ferreri. Di partenza sembrerebbero “turnisti”. Potrebbero suonare con chiunque. Ma so che amano suonare con me perché faccio della musica insolita. Ci sono delle parti musicali nel mio repertorio (5/4 ,7/8 ecc)…la scrittura è insolita e loro si divertono da morire a suonare con me. A volte hanno rifiutato tour importanti con artisti che magari garantivano di più, per venire a suonare nelle mie canzoni. Si sente che si divertono. Puccio Panettieri ad esempio ha fatto delle take di batteria pazzesche…si vedeva che era “preso”…è gente che ama particolarmente la musica…per lavoro fanno tutto… però..
…e quindi non è soltanto un discorso di “mestiere”…fortunatamente…
No, no..assolutamente…e tra l’altro ho sempre lasciato mano libera…nei primi album solisti solitamente suonavo tutto io, però, siccome rispetto molto le personalità di chi suona con me, ovviamente cerco gente che abbia un modo di suonare abbastanza affine. Non ho mai detto, a parte alcuni “canovacci” per me indispensabili, “risuonate esattamente quella cosa come è”…e quindi la cosa bella, quando andiamo in tour in trio, è che il pubblico capisce che c’è una libertà espressiva da parte di tutti che sembriamo, non dico in dieci, ma emotivamente travolgenti…o almeno questo è quello che arriva. Spero di tornare a suonare presto con loro, anche perché ultimamente ho fatto diverse date solo chitarra e voce.
Non abbiamo ancora parlato di Phil Spalding al basso…all’interno del disco c’è qualche traccia dove c’è questo importante musicista..
Phil Spalding collabora spesso con Francesco Arpino (produttore e tastierista, ndr)… io e Francesco ogni tanto ci divertiamo a scrivere delle canzoni; canzoni che scriviamo in cinque minuti del tipo “ho questa strofa” , lui mette il ritornello ecc…Mi ricordo che un giorno scrivemmo in dieci minuti un paio di pezzi che sembravano perfette per Robbie Williams. Le mandiamo a Spalding. Spalding suona anche con Williams…Un giorno venne in Italia e sovraincise pure il basso…
Si tra l’altro lui suona pure con Mick Jagger, Elton John…
Sì, ha suonato tanto con Elton John, anzi sicuramente ci suona ancora oggi…e…ha suonato anche con Roger Daltrey, quindi conosce tutti gli Who…è un bassista fenomenale..lui è venuto, non aveva studiato niente (dei brani con Lucas, ndr)…ha sentito le canzoni, si è messo a scrivere e in breve tempo “dai sono pronto”…e quello che senti sul disco sono le parti che ha imparato lì in studio…su “Distortion” ha scritto tre pagine tanto per dire…per farti capire la difficoltà…e ha detto che è stata l’esperienza più entusiasmante che abbia mai avuto…considerando tutto quello che ha fatto…a livello di scrittura…si è emozionato assai..
Quel brano è molto particolare…
Molto particolare…lì il basso ha avuto molto coraggio.
Devo ancora cogliere delle cose di quel brano, non tanto della struttura, quanto del senso…
…la circolarità?!… io per cantarci sopra ho impiegato tre giorni…all’inizio non riuscivo a capire l’attacco…e poi ci sono dei momenti soprattutto quando c’è il crescendo di batteria, che ho dovuto contare “ventidue”…se ti distrai un attimo..dovrebbe esserci qualcuno che “conta” per poterla eseguire identica al disco…lì Spalding ha avuto il coraggio di eseguire una nota singola…lui non cambia mai accordo..avremmo potuto osare di più inserendo un organo anni ’70 che poteva cambiare l’armonia…A livello di scrittura è un bel viaggio anche quella canzone.
Sì è davvero particolare…Gary Lucas ha usato diverse accordature con la chitarra. Durante le registrazioni hai potuto catturare qualche segreto…?…c’è stato uno scambio tra di voi?
Non molto..
Mi pare di capire che la registrazione è avvenuta abbastanza velocemente… ed è anche una cosa straordinaria, perché realizzare un album così in poco tempo…
…E’ stato un miracolo.. …beh sì erano tutti ispiratissimi quei dieci giorni…
Una sorta di esaltazione collettiva!!
Tra l’altro in quel periodo ero anche in tour…la sera andavo a suonare poi la mattina tornavo in studio…avevo delle date abbastanza vicine..ma è stato un massacro..ci sono quelle foto in studio con Lucas…che non sono il massimo…sembro un cadavere..era difficile supervisionare tutto…un sonno…(risate)
Andiamo un po’ più in profondità…alcuni aspetti che ci interessava cogliere..parliamo di The Niro come artista..quanto delle tue liriche, dei tuoi testi si avvicinano a quelle di Buckley? Secondo me ci sono un po’ di cose in comune….forse c’è un romanticismo di fondo che vi accomuna…Lucas, conoscendoti, non pensi che ti abbia chiamato, non solo per le capacità tecniche, ma anche per i testi, per la narrazione, per il sentimento?
Beh sì… è probabile…forse lo struggimento sentimentale, esistenziale…ora non mi ricordo quella famosa frase di chi era che diceva “…scrivo solo quando sto male, quando sto bene esco” (Luigi Tenco, ndr)…forse è un po’ questo che ci ha accomunati…nel senso che..i miei conflitti interiori li risolvo attraverso la musica…per me è una sorta di auto-analisi…per me è importante…la magia di scrivere le canzoni…è proprio quella…che magari un problema insormontabile lo racconto in una canzone; è come se la canzone diventasse una bolla che racchiude determinate cose irrisolte…che poi se si risolvono o meno è marginale…
La scrittura ti aiuta anche a ricordare o a definire delle cose, probabilmente..
A sciogliere dei nodi, esatto… e quelle emozioni, ogni volta che ri-canto quelle canzoni, le riavverto tutte.
Riesci a cantare qualcosa che hai scritto rispetto ad una storia tua privata…anche a distanza di tempo? Riesci ad avere lo stesso sentimento per reinterpretarla di volta in volta? Oppure no, questa è una cosa del mio passato, che ho superato, non me ne importa più niente…
No,no.. io canto anche brani di quindici anni fa e la sensazione…mi rimane..i visi spariscono, i colori si affievoliscono…un po’ come il profumo… lo senti e ti riporta istantaneamente ad una persona, a un ricordo. E le canzoni mi danno quella sensazione…una scìa..una particella infinitesimale che mi riporta a quel momento, a quelle sensazioni. Quindi sì.
Oltre al tour imminente , ci sarà ancora una collaborazione tra te e Gary prossimamente?
Sì, Gary registrerà delle parti di chitarra nel disco che ho iniziato da poco. Poi non so se ci sarà in futuro..magari un Gary Lucas featuring The Niro…gli restituisco il favore…
Beh anche leggendo le cose che si leggono in giro, sarebbe un peccato non continuare…
A me farebbe piacere…penso che proprio a Natale registreremo delle cose proprio mentre saremo in tour..su delle mie cose nuove…
Oltre a “She Is Free” ci sarà un altro video?
Si ci sarà “In the Cantina” al quale sta lavorando Paolo Soriani…
Che è il fotografo…
Sì…ci sta seguendo lui…ci ha seguito anche a New York..io sto curando la supervisione; sono un appassionato anche di cinema. Mi è capitato di curare spesso il montaggio dei miei video-clip. Ho una visione d’insieme..poi il nome d’arte tradisce un po’ questa passione, The Niro…
Sappiamo che c’è stata questa premiere organizzata dalla Esordisco…come è andata questa esperienza al Cutting Room di New York lo scorso 20 settembre?
E’ stata pazzesca…non pensavamo che…io non sapevo cosa aspettarmi..sai, un italiano che va a cantare a New York i brani di Jeff Buckley..boh, vediamo che succede..non so….mi ero immaginato…forse un pregiudizio…invece già dal primo brano ho visto le persone ..gente che è venuta da tutto il mondo, dall’Australia..gente di New York ovviamente, tedeschi…un pubblico molto vario e la cosa bellissima è stato vedere le persone piangere…quella sera era come se fossi stato toccato da qualcosa di ultra terreno ..non ho mai cantato così…
Avete registrato?
Sì sì…mentre cantavo pensavo “no…quando ricanterò così”…
No vabbè, dai..non è vero…ma hai una voce straordinaria, dai (risate)
The Niro: Ti ringrazio..no..ma a livello di interpretazione…non lo so…
C’era un alone magari attorno a quel momento
Sì..cantare e basta per me è una novità…io sono sempre stato..
Tu stai sempre con la chitarra…
Esatto. Io mi sento proprio nudo senza la chitarra. Ho fatto un Sanremo senza chitarra. Sono stato mesi a guardare il soffitto “che cazzata!!!” (risate)
Sì me lo ricordo!!..Insomma che avete suonato lì a New York…come avete organizzato la scaletta?
Abbiamo fatto sette dei dodici brani. Eravamo io Arpino e Lucas..ed è per questo che siamo fiduciosi per il tour. Poi abbiamo fatto un pezzo io. Gary ha fatto un paio di brani strumentali. E “In the Cantina” l’abbiamo suonata un paio di volte. Anche “Mojo Pin”, piano e voce è venuta molto bene.
Senti ma non sarebbe il caso di andare in giro anche in Europa?
The Niro: Beh magari…sto leggendo tante recensioni molto belle da tutta l’Europa…teoricamente… non so se ne sta occupando qualcuno. Mi piacerebbe tantissimo.
Ma il disco che stati scrivendo adesso uscirà sempre con la Esordisco oppure con la Universal tua “vecchia” etichetta?
Io ho avuto un rapporto con la Universal che si è interrotto in un periodo in cui ho perso il mio storico produttore, Gianluca Vaccaro. E’ accaduto un paio di anni fa..ma ora ho firmato con la Esordisco. Ho firmato questo contratto con Pierre. Sto bene.
Ma l’idea della copertina?
E’ di Pierre. Inizialmente era stata commissionata a Beppe Stasi l’idea di utilizzare alcuni disegni miei e di Lucas..Non ci piaceva …poi alla fine è partita questa altra idea, questo tripudio di colori…questo era quello che mi sembrava più carino…
Ti corrisponde questa immagine?
A livello sinestetico sì..
Invece della foto di voi due è stata messa questa immagine. C’è stato qualche confronto ?
No, io non volevo proprio comparire…per me doveva essere una copertina nera con la scritta The Niro featuring…e basta. L’idea era “parla la musica”. Però per certi versi questa esplosione di colori rappresenta il disco…
Non so perché ma queste cose che stai dicendo le ho scritte nella recensione!
Dai!, grande! Allora è giusta!!
Domanda un po’ delicata…ma Mary Guibert (la mamma di Jeff Buckley, ndr) che dice di questa pubblicazione? Visto che c’è stato il recupero di questi brani…
Io non ho avuto il piacere di parlarci. Non ne so molto. Non so se con Gary c’è stato qualche contatto. Lei è una persona che…non so… hanno per esempio spesso pensato di fare un film sul figlio che curiosamente annunciano ma poi non si fa mai..forse, immagino, ci siano sempre delle resistenze, della premura nel voler rispettare la memoria del figlio… in questo caso specifico di come l’abbia presa, non ne so nulla…però alla fine il disco è uscito; quindi penso che non l’abbia presa male.
Abbiamo notato nella discografia diverse collaborazioni per colonne sonore. E poi c’è un numero elevato di videoclip. C’è questo amore per le immagini. Puoi raccontarci di questa passione?
+ Quando ho iniziato a scrivere era un periodo durante il quale mi ero fissato nel poter cambiare le musiche dei film che vedevo. Guardavo dei film e quasi in maniera irridente, magari vedevo delle scene che mi sembravano molto allegre, sotto io eseguivo delle musiche diverse, e capivo il potere della musica sulle immagini. Questa cosa mi ha dato il la nello scrivere poi musica. All’epoca facevo solo il batterista ma suonavo anche la chitarra da tempo. Quindi ho iniziato così, con l’idea che un giorno avrei fatto il compositore.
E poi sono capitate delle occasioni in cui hai scritto dei brani per film…
Sì esatto, e ho fatto anche delle colonne sonore intere. Ho lavorato col regista di “V per Vendetta” (James McTeigue, ndr) che dopo avermi sentito suonare mi ha proposto di comporre un brano per un cortometraggio tramite la partecipazione ad un contest, accanto ad altri compositori americani. Mi mandò la sceneggiatura. Scrissi il pezzo in venti minuti, un po’ orientato sull’elettronica. Alle cinque del mattino mi arrivò la mail dove il regista mi comunicava , felice, che sarei stato inserito nel film che avrebbe avuto come protagonista il premio Oscar, Richard Dreyfuss.
Sappiamo che hai lavorato anche con la regista e autrice Iole Natoli…
Sì certo, come no…”Incanto” !!
Come è nata la collaborazione?
Ho conosciuto Iole nel luglio 2008. Fuori dopo un concerto fatto alla Cavea dell’Auditorium a Roma tramite vecchie conoscenze. Siamo amici tuttora e abbiamo lavorato non solo su quel corto ma la nostra collaborazione è proseguita sul suo percorso da poetessa…
Recentemente ha vinto un premio…
Sì… abbiamo lavorato insieme sulle sue poesie, con io che facevo il commento sonoro e Barbara Folchitto e Carolina Crescentini che leggevano , abbiamo creato un reading dal titolo “Una serata incantevole”. Facemmo un paio di serate con una affluenza davvero grande, circa 700 persone. Iole come sai ha sempre un grande seguito.
Leggemmo anni fa una tua intervista dove ti veniva fatta la “solita” domanda del perché canti in inglese. E tu hai rispondesti che “l’inglese è un idioma come un altro”. Sappiamo che i vocaboli in inglese, il loro suono, hanno delle possibilità diverse rispetto a quelli in italiano. Che differenze hai trovato a scrivere un album nella tua lingua madre,(The Niro pubblicò un album per la Universal nel 2014, partecipando anche a Sanremo col brano 1969) visto che eri abituato a farlo in inglese ?
Sicuramente mi trovo molto più comodo in inglese. Riesco ad esprimere più concetti con meno sillabe… a meno che non ceda al teatro-canzone…perché è dove il cimento è maggiore…non so …c’è un paradigma: testo bellissimo / musica d’accompagnamento; musica bellissima/testo d’accompagnamento.
Difficile trovare poi l’equilibrio perfetto tra una musica di scrittura complessa “alta” e un testo “alto”
Devi trovare quell’alchimia perfetta.
L’alchimia sicuramente la scopriranno gli appassionati di queste originalissime composizioni che fanno parte di questo The Complete Jeff Buckley and Gary Lucas Songbook prodotto da The Niro e Francesco Arpino assieme alla Esordisco.
Gary Lucas e The Niro saranno in tour in questi giorni in Italia per promuovere l’album. Non perdeteli!
Ecco le date:
19 dicembre, Pordenone, Astro Club
20 dicembre, Milano, Serraglio
21 dicembre, Perugia, Bad King
22 dicembre, Bologna, Area Fuori Tema
23 dicembre, Correggio (RE), I Vizi del Pellicano
26 dicembre, Torino, Blah Blah
27 dicembre, Roma, Monk
28 dicembre, Taranto, Mercato Nuovo
29 dicembre, Bari, Anche Cinema