«I due ragazzi che mi hanno soccorso - scrive l’ex deputato e coordinatore di Articolo 1-Mdp aggredito da un manipolo di fascisti a Venezia - sono i volti di un sentimento che ti porta a difendere chi sta subendo un’ingiustizia senza porsi troppe domande. Loro sono la maggioranza del Paese»

Mi è sembrato giusto fare il mio dovere di cittadino, non di militante politico. L’aggressione che abbiamo subito a Venezia intorno alla mezzanotte del 1 gennaio ha avuto una eco superiore a quanto lontanamente immaginassi. Segno che c’è una coscienza diffusa di quanto sia cresciuto in questi ultimi anni un pericoloso rigurgito di estrema destra che miete consensi e recluta giovani. Non è dunque un episodio isolato, ma l’ultimo di una catena lunghissima che ha attraversato piazze, stadi, mass media.

Il neofascismo in Italia è una realtà. Si compone di simboli e di divise, di cori e di riti, di luoghi fisici e di luoghi virtuali. È animato da vecchi e nuovi maestri, ma ha un potente ascendente su frange non marginali di una nuova generazione che va incontro alla politica dei prossimi venti anni con l’armamentario del ventennio del secolo scorso. Ne hanno scritto in tanti, dal capolavoro di Scurati a tantissimi storici, intellettuali e giornalisti che si sono cimentati con la materia, ma non c’è ombra di dubbio che trasformare la paura della perdita di reddito e di lavoro in odio revanscista è il principale mestiere che questa destra sta facendo. Quella extraparlamentare e quella istituzionale, legati insieme da un’indissolubile destino. E che talvolta non esitano a mescolare le piazze, come dimostra Piazza San Giovanni della Lega Nord il 19 ottobre scorso con la presenza esplicita di Casapound e Forza Nuova.

Ma di cosa è figlia questa escrescenza fascistoide? Diciamolo chiaramente: di due fattori precisi, uno contingente, un altro di più lungo periodo. Il primo è…

L’articolo di Arturo Scotto prosegue su Left in edicola dal 10 gennaio

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