No, il governo finlandese non ha portato a 4 giorni la settimana lavorativa. Ma l’idea, realmente avanzata dalla premier Sanna Marin lo scorso agosto, resta valida. Ridurre le ore a parità di salario migliorerebbe le nostre vite. E questo non piace ai neoliberisti

Uno spettro si aggira per l’Europa. Lo so, non è originale, ma non riesco a pensare ad altro osservando la guerra del tempo. Va bene, ormai dovrebbero saperlo tutti, in Finlandia non è nell’agenda del governo la riduzione della giornata lavorativa ma il sollievo con cui è stata accolta la smentita di una notizia, iniziata a circolare il 2 gennaio e non ancora stoppata, e le modalità con cui il tema è stato aggirato dai commentatori mainstream, rivela che la guerra del tempo è un conflitto diffuso sebbene “a bassa intensità”. Con alcune eccezioni.

Nelle ultime presidenziali in Francia sia Mélenchon sia Hamon erano portatori di una proposta di legge per le 32 ore di lavoro. Poco dopo, a primavera del 2018, il sindacato Ig Metall, 2,2 milioni di iscritti, strappava alla controparte confindustriale della Gesamtmetall un accordo per una riduzione temporanea della settimana dei metalmeccanici a 28 ore. Un po’ poco per salutare un “nuovo modello tedesco” ma certo abbastanza per dire che il più grande sindacato tedesco non s’era mai dato così da fare sui temi della flessibilità, della condivisione e del controllo dell’orario a cominciare dalla campagna del 2017: “La mia vita, il mio tempo: ripensare il lavoro”. All’incirca lo stesso periodo in cui a Göteborg, Svezia, una sperimentazione di 18 mesi della giornata di 6 ore per i dipendenti delle case di cura per gli anziani dimostrava che non solo si creano nuovi posti di lavoro ma aumenta la produttività, si riducono le assenze per malattia, migliorando anche le prestazioni e la felicità degli assistiti. 

E cos’altro è, infatti, il lunghissimo sciopero in Francia contro la “riforma” delle pensioni voluta da Macron? Tempi di vita e tempi di lavoro sono questioni intrecciate in maniera indissolubile. Come pure tempo e salario. Infatti, anziché dalla Finlandia, avremmo potuto iniziare questo sfoglio con una istantanea dalle piazze francesi o da una scuola di Seine-Saint-Denis, distretto operaio a nordest di Parigi, intitolata a Josephine Baker, una delle tante in cui gli insegnanti grevistes, scioperanti, organizzano dei caffè con i genitori per spiegare gli effetti perversi della “pensione a punti”. In Italia lo chiamiamo sistema retributivo e lo scontiamo dal ’94 con peggioramenti continui tipo la…

L’articolo è tratto dal numero di Left in edicola

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