«Non credo che nel Labour si voglia tornare su posizioni più centriste» prevede Laura Parker. L’ex coordinatrice di Momentum è impegnata nel congresso che porterà alle primarie del 4 aprile per eleggere il nuovo leader. «C’è una consapevolezza diffusa che ormai le disuguaglianze siano insostenibili»

Laura Parker è stata fino a poche settimane fa la coordinatrice nazionale di Momentum, l’organizzazione nata nel 2015 attorno alla candidatura a leader del Labour di Jeremy Corbyn. Momentum è stata decisiva nel sostenere Corbyn e indirizzare a sinistra il partito laburista. Ha avuto anche un ruolo importante nella campagna elettorale appena conclusa e abbiamo fatto una chiacchierata con la sua ex coordinatrice per cercare di capire meglio cosa è andato storto il 12 dicembre e che piega sta prendendo il congresso del Labour, che porterà il 4 aprile all’elezione del nuovo leader del partito, attraverso primarie a cui prenderanno parte cinque candidati: la radicale Rebecca Long-Bailey, il più moderato Keir Starmer (i due favoriti), e poi Jess Philips, Lisa Nandy ed Emily Thornberry.

Qual è stata la cosa fatta da Momentum che ti ha reso più fiera in questa campagna elettorale?
Sono molto orgogliosa del numero di persone che siamo riusciti a mobilitare, tra cui anche individui che non si considerano della sinistra del Labour. È stata una campagna elettorale molto aperta e inclusiva. Ci sono stati oltre 2,5 milioni di contatti sulla nostra app My campaign map che aveva lo scopo di indirizzare gli attivisti nei posti in cui era più utile. Chiaramente nel Regno Unito, con il nostro sistema elettorale, è molto importante dare più attenzione ai collegi marginali e abbiamo cercato di indirizzare i militanti nei posti in cui potessero dare un contributo maggiore.

Abbiamo organizzato telefonate di gruppo con migliaia di partecipanti, sessioni di “addestramento” per nuovi attivisti, grandi squadre di volontari, militanti che giravano video che poi noi aiutavamo a diffondere; abbiamo attivato il car pooling per i volontari che si accordavano per andare a fare campagna elettorale in giro per il Paese. È stato davvero uno sforzo collettivo generato dal basso e non dalla leadership del partito, molto più simile alle campagne di mobilitazione dell’associazionismo piuttosto che di un grande partito tradizionale. E penso che questo nostro approccio potrebbe cambiare il modo in cui il Labour si mobiliterà in futuro. Inoltre sui social media abbiamo avuto degli ottimi risultati, con molte più interazioni dei canali ufficiali dei Conservatori o del Labour stesso.

C’è qualcosa che, in retrospettiva, pensi che abbiate completamente sbagliato?
Come tutto il resto del Labour, avremmo dovuto impegnarci di più e prima nel portare più risorse in alcune zone del Paese, in particolare nella cosiddetta “muraglia rossa” (il gruppo di collegi del Nord Est ex minerario che da quasi un secolo garantiva decine di seggi al Labour e che, tramite la Brexit, Boris Johnson ha strappato a Corbyn, ndr). In pochi avevano capito appieno il rischio che correvamo nel Nord Est e nello Yorshire, da dove provengo. La decisione del Brexit party di non presentarsi in alcuni collegi ha avuto più importanza di quanto avessimo pensato. Ma questo non è stato un errore compiuto solo nelle sei settimane di campagna elettorale, è un problema che…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 31 gennaio

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