Non c’è futuro a sinistra senza una «critica forte alla globalizzazione capitalistica», dice Massimo D’Alema. E poi, suggerisce, va abbandonato il partito liquido, per recuperare un «rapporto fisico» col popolo. Ammirazione per Conte, e la sua opinione su Renzi? «La prego, non mi induca in tentazione»… A colloquio con un “ex capo” che non smette di dare consigli

Gli uffici della Fondazione ItalianiEuropei di cui Massimo D’Alema è presidente affacciano su due degli scorci più belli della Roma rinascimentale: da un lato Campo de’ Fiori e dall’altro piazza Farnese. È un luogo, al terzo piano di un austero e un po’ appassito palazzo seicentesco, che è come sospeso fra terra e cielo sulla testa dei romani e dei turisti che tutti i giorni e a tutte le ore formicolano da quelle parti ignari di molte cose, tra cui la vicinanza di uno degli ultimi capi di un comunismo che non c’è più, né in Italia né altrove. Un “ex capo” che tuttavia riceve ancora, in questo spicchio sorprendente e saporito della Roma dei papi, una sempre nutrita schiera di potenti e di gran commis, di intellettuali e capitani d’industria che gli fanno visita, lo consultano, si confrontano, chiedono e danno “benedizioni”. Mangia ancora una banana per pranzo, Massimo D’Alema, e si aggira per questi stanzoni ampi e dai soffitti con le volte a crociera, le pareti affollate di libri, i tavoli lunghi e spaziosi e di design, come un sacerdote con i suoi riti, dedito alla scrittura e alla lettura di libri, più propenso a coltivare gli studi che l’agone politico. E per un combattente della politica e un maestro dell’arte del governo, per un capo che non ha mai rinunciato alla sua vocazione leaderistica, l’idea di una sua estraniazione dalla competizione in campo aperto stride rumorosamente con una storia e un presente che talvolta anche suo malgrado lo vedono ancora protagonista polemico e “informato dei fatti”.

Ma perché lei vuole a tutti i costi dare di sé questa immagine distaccata, quasi da stilita, del suo rapporto con la politica e i politici italiani?

Ma perché è così, è la verità. Mi sono messo in pensione da tutto questo: dalle polemiche, dalle grida, dalle competizioni sgangherate, ma non mi sono appollaiato su una colonna. Provo a dare il mio contributo alla politica e alla cultura di sinistra studiando, scrivendo, riflettendo senza dovermi ogni volta assoggettare al peggio che solo una certa politica sa esprimere.

Ma nel frattempo coltiva relazioni importanti, capeggia riunioni, si dice anche che dispensi consigli a certi suoi successori istituzionali in difetto di esperienza…

Non ci siamo capiti: non mi sono dimesso dalla politica, ma dalla praticaccia della politica del giorno per giorno. Ho fatto anche scelte dolorose per evitare di essere invischiato umanamente in un cattivo rapporto tra le persone e, diciamo pure, mi sento meglio e più libero di pensare e di dire. Lavoro molto, come sempre, e mi fa piacere se qualcuno mi chiede pure consiglio: non potendo dare cattivi esempi, provo a dare buoni consigli, come ci cantava Fabrizio de André….

D’Alema, che significato ha per lei la parola Socialismo?

È una parola grande che, storicizzandosi, ha in parte esaurito la funzione che ha avuto nel corso del ‘900. Quel movimento di idee e di uomini ha…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 28 febbraio

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