In viaggio, con i rifugiati siriani, afgani e iraniani, da Istanbul verso il confine con la Grecia sugli autobus messi a disposizione, con l'inganno, per chi vuole entrare in Europa. Ad aspettarli ci sono barriere di ferro, filo spinato arrotolato e soldati greci armati

«Amico, hanno aperto i confini. Migliaia di rifugiati stanno partendo per il confine. Sto pensando se farmi lo zaino e partire». 28 febbraio, mattina. A scrivermi è Ahmed, rifugiato siriano arrivato 7 anni fa in Turchia con l’idea di andare in Europa, un’idea svanita nel corso del tempo. 

«Se andare in Europa significa finire in un campo profughi, preferisco rimanere qui» mi ha sempre detto. Amante della musica, si sta costruendo una carriera nella scena del quartiere asiatico alternativo di Kadikoy, ma da tempo sogna Barcellona: «Decine di miei amici vivono lì e sento che forse questa è la mia occasione». É inquieto e allo stesso tempo su di giri quando raggiungo casa sua.

Nonostante il blocco dei social media implementato dal governo di Ankara, in seguito all’uccisione di almeno 33 soldati turchi a Idlib ad opera dell’esercito siriano, cerchiamo di capire cosa sta succedendo. Il telefono di Ahmed squilla di continuo. A chiamarlo sono i suoi amici siriani e palestinesi di Istanbul che come lui cercano di farsi un’idea se partire o meno. Nel quartiere storico di Costantinopoli, a Topkapi, già in mattinata sono stati messi a disposizione degli autobus per i rifugiati che vogliono dirigersi al confine, alcuni gratuiti, altri a cifre modiche.

Qualche ora dopo saranno già in centinaia a…

Il reportage prosegue su Left in edicola dal 6 marzo 

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