Le autorità di Bruxelles si complimentano con quelle di Atene per la gestione della crisi migratoria, in cui viene violato il diritto d'asilo. Così il continente viene consegnato alle destre estreme

Viviamo in queste ore il precipitarsi, come in un condensato, di quello che potremmo definire “Fascismo della frontiera”; un fenomeno a cui si è arrivati dopo anni di contenimenti forzati, rimpatri, ronde, respingimenti, omissioni di soccorso. Anni in cui abbiamo visto persone perdere la vita in mare, imbarcazioni speronate nel Mediterraneo e nell’Egeo, persone scomparse nel silenzio di tutti, abbandonate dalle istituzioni che avrebbero dovuto proteggerle.

Sul confine greco-turco si palesa la mostruosità di un continente che tortura l’altro per delega, lo respinge nei lager libici, lo fa sparire oltre i confini; e ha fatto dell’“espulsione dell’altro” la sua cifra identitaria. Adesso, in un passaggio all’atto (annunciato), compie la sua diretta eliminazione fisica.

La polizia e l’esercito greco sparano proiettili di gomma e lacrimogeni ai migranti che cercano di abbandonare la Turchia ed entrare in Europa, dopo l’apertura della frontiera operata dal sultano Erdogan. Mentre gruppi neonazisti, veri e propri squadroni della morte, colpiscono incontrastati per le strade delle isole elleniche e a mare stranieri, ong e attivisti. Notti di cristalli greche. (Al tema è dedicata la copertina di Left in edicola dal 6 marzo, ndr)

In questa situazione, l’Unione europea che da vent’anni fa la guerra ai migranti getta la maschera e applaude, utilizzando un linguaggio bellico, allo «scudo» greco – la definizione è di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue – che è stato opposto ai profughi. Donne e bambini scampati a bombardamenti e alla distruzione totale delle loro abitazioni e vite.

Così Commissione e Parlamento europeo consegnano il continente alle destre estreme. Che spesso le atrocità contemporanee siano state compiute da insospettabili burocrati, lo si sapeva da anni. L’esposto da un team di avvocati internazionali (Shatz e Branco) presentato a giugno 2019 di fronte alla Corte penale internazionale accusava l’Unione europea di “crimini contro l’umanità”, allegando una ricca documentazione, ma essa è rimasta muta e complice.

Sul fronte dei respingimenti, degli accordi tra Italia e Libia, più in generale delle politiche migratorie nel Mediterraneo e nell’Egeo, l’altro confine militarizzato, rispetto al quale sono stati siglati patti per bloccare esseri umani ridotti alla terminologia di “flussi” (l’accordo Ue-Turchia del 2016).

La Grecia da giorni sta violando la Convenzione di Ginevra e il diritto di asilo – «nucleo essenziale della Carta europea» (Luigi Manconi) e della nostra ex “civiltà” giuridica – e spara ad esseri umani in movimento. Come in un incubo, una civiltà esce dalla civiltà, compie una svolta autoritaria, dispotica. In un micidiale cortocircuito cognitivo-mediatico, l’epidemia della fobia dell’altro, rappresentato come “nemico” invisibile, si estende all’intero corpo psico-sociale e rischia di espellere l’altro da sé.

Nell’immagine del barcone respinto a Lesbo, al porto di Thermy (vedi l’intervista di Galieni a Nawal Soufi su Left del 6 marzo 2020, ndr), da folle fasciste e aizzate da Alba dorata, si cristallizzano 20 anni di politiche razziste, che hanno educato il corpo sociale a “immunizzarsi” contro un nemico inventato, ed a dedicarsi ad una “caccia al migrante” generalizzata. Ronde di frontiera, cani, manganelli e atti inumani e degradanti contro persone migranti sono la quotidianità sulla rotta balcanica, dove nei boschi e nei varchi di confine agiscono da anni impunite, guardie, polizie e unità speciali, ungherese, bulgare, croata; e greca.

Oggi, di fronte all’opinione pubblica, leader europei possono fare dichiarazioni sul sostegno militare incondizionato alla Grecia, senza nemmeno considerare l’esistenza di queste migliaia di esseri umani alla frontiera. Non esistono. La violenza invisibile, che pochi hanno voluto denunciare, serpeggia da anni nei campi profughi, nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e negli hotspot, dove le persone vengono distrutte psicologicamente e fisicamente. Mentre nel Mediterraneo la Guardia costiera libica finanziata da Europa ed Italia cattura i migranti che tentano di fuggire dal Paese nordafricano in guerra e li riporta nei lager.

Crimini di sistema, per così dire, che nessun vuole vedere, nessuno riconosce, se non in rari casi. Come quello della sentenza di Palermo del Tribunale permanente dei popoli, che di questi crimini aveva evidenziato la struttura e la trasversalità, legati come sono tra di loro da un filo insanguinato che unisce i confini esternalizzati dell’Europa, che proprio in questi giorni opera un gigantesco respingimento di massa.

«Non si può restare inerti davanti alla cancellazione della civiltà giuridica dell’Europa. Le politiche di esternalizzazione delle frontiere attuate dagli Stati Ue finiscono per produrre crimini contro l’umanità» ha dichiarato l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

Ma i vertici europei – l’Alto commissario agli Affari esteri Borrell, la presidente della commissione Ue Von der Leyen, il presidente dell’Europarlamento Sassoli – benedicono le operazioni della agenzia di controllo delle frontiere Ue Frontex, sempre più saldate alle azioni delle autorità greche e dei fascisti. Mentre un popolo migrante senza territorio, stritolato tra nazioni, è invece in cammino.

D’altronde, in quale no man’s land gli Stati europei pensavano di poter continuare a stritolare le persone, di stringerle a tenaglia tra Paesi di confine? Dopo i confinamenti forzati e le detenzioni infinite dei migranti nelle isole greche, ora dove si pensava di respingerli? In un limbo al confine greco-turco? Nel fiume Evros? Nel mare? Dove? Quale pensiero si annida in queste decisioni burocratiche, se non la volontà di far sparire i migranti? L’Europa si palesa dunque come un mostro militare, una struttura genocidaria, perché è un «popolo migrante» (come lo ha definito Luigi Ferrajoli) quello colpito dalle sue politiche. Un popolo che ora richiede la nostra reazione e protezione.

Per approfondire leggi il nuovo numero di Left, in edicola dal 6 marzo 

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