I provvedimenti decisi dal Governo per contrastare la mobilità e la diffusione del coronavirus sono coraggiosi e largamente condivisibili. L’esperienza tragicamente verificata nella Repubblica popolare cinese dei provvedimenti necessari ha anche costituito un esempio che l’Italia, primo tra i Paesi europei, ha messo a profitto.
Le restrizioni alla libertà di movimento sono un male necessario, come la decisione di sospendere tutte le attività lavorative ritenute non essenziali a consentire una vita quotidiana ordinata e a garantire rifornimenti e sicurezza per il Paese.
Dobbiamo essere grati a tutte e tutti coloro che in queste ore negli ospedali, negli uffici, nelle aziende della filiera dell’agroalimentare, nella logistica, nel commercio e in tutti i servizi essenziali e di pubblica utilità, si recano al lavoro mettendo a rischio la propria sicurezza nell’interesse generale.
Appare un limite che il Governo non abbia provveduto a sospendere le attività industriali e nei servizi alle imprese, affidando la responsabilità di garantire l’esistenza delle condizioni per proseguire l’attività ai datori di lavoro. È un atto che mostra il peso delle pressioni e dei condizionamenti esercitati da Confindustria con i suoi interessi particolari, e non coerente con l’insieme dei provvedimenti.
Significative sono le evidenti contraddizioni dei governatori di Veneto e Lombardia che, mentre il loro partito sbraita contro il Governo per chiedere misure di blocco più forti, a livello regionale concordano con il padronato e Confindustria per mantenere aperte linee produttive non necessarie.
Ne traiamo conferma dell’egoismo e della miopia del padronato, che antepone il profitto e le commesse al diritto alla salute dei propri lavoratori e delle proprie lavoratrici, degli uomini e le donne che fanno la ricchezza di questo Paese
Tutte le attività non essenziali devono essere sospese senza indugio.
Così come rappresenta un errore affidare la decisione di usare gli strumenti di sostegno al reddito unilateralmente agli imprenditori, quando sarebbe più semplice disporre, per tutti i lavoratori sospesi dal lavoro, l’erogazione della Cassa integrazione guadagni e di ogni strumento collettivo e pubblico di copertura al reddito di chi lavora, attraverso il ruolo essenziale di rappresentanza e di contrattazione del sindacato generale e di categoria.
Vanno annullati tutti i licenziamenti disposti dall’inizio della crisi, e va sospesa la facoltà di licenziare fino alla fine dell’emergenza, così come vanno sospesi gli sfratti. Occorre provvedere, per tutti i lavoratori dipendenti e autonomi che non hanno lo strumento della Cassa, all’istituzione di un reddito di quarantena generalizzato che copra l’intero periodo di astensione forzata dal lavoro.
Sarebbe necessario un contributo di solidarietà straordinario, per ridurre l’impatto delle misure sul bilancio dello Stato, da esercitare sui redditi più alti predisponendo una tassa sulle rendite patrimoniali e finanziarie.
Non pensino questi padroni di scaricare su collettività e lavoratori anche il loro rischio d’impresa, di spremere le persone incuranti del rispetto delle norme igieniche e di sicurezza atte a rallentare la diffusione del virus oggi, per poi prendere per se stessi soldi pubblici, scaricando sui soliti noti i costi della crisi. È
inconcepibile che persino in una situazione così grave tentino di attribuirsi, in nome dell’emergenza, il controllo unilaterale sulla forza lavoro e sulle modalità della sua utilizzazione.
Ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti; il bene pubblico, la salute, la sicurezza del Paese devono venire prima di tutto, a maggior ragione prima del profitto e del mercato.
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Giacinto Botti è coordinatore di Lavoro e Società della CGIL, e Maurizio Brotini fa parte del direttivo nazionale CGIL
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