Con il messaggio alla nazione di Pedro Sánchez anche la Spagna è entrata appieno nell’emergenza coronavirus. Fino a pochi giorni fa non era così, infatti l’8 marzo le mobilitazioni femministe, 900 manifestazioni per il Paese, hanno portato tantissime persone in piazza. Il governo progressista, dopo un incontro con le parti sociali, ha annunciato misure restrittive per frenare i contagi e una terapia d’urto contro le conseguenze economico sociali provocate dalla diffusione del virus, con aiuti alla sanità pubblica, alle piccole e medie imprese e alle famiglie con il rinvio del pagamento di mutui e obblighi fiscali. Così, sulla stampa spagnola, si sono attenuate le ultime polemiche che hanno diviso l’alleanza progressista al governo, quelle sulla legge per la libertà sessuale, sull’immigrazione e sulle malefatte dell’ex-re Juan Carlos I, accusato dall’amante Corinna e dal tribunale di Ginevra, rischia di essere inquisito per riciclaggio di denaro e frode fiscale.
Senza sottovalutare l’importanza dei temi oggetto di divisioni è abbastanza scontato che questa emergenza sanitaria da Coronavirus costringerà la coesione di governo Psoe-Podemos a prove più impegnative.
L’epidemia mette a nudo i guasti provocati dai continui tagli al sistema sanitario pubblico che si rivela impreparato a gestire una diffusione incontrollata del virus. Le polemiche sono già iniziate sulle prime misure necessarie per evitare la diffusione dei contagi e c’è solo da augurarsi che il mondo della politica esegua compatto le indicazioni che arriveranno dal mondo della scienza.
Ben più complesso sarà gestire il dopo emergenza, cioè l’indirizzo da dare alle scelte future per porre rimedio ai profondi guasti sociali, economici che questa pandemia produrrà.
L’esecutivo Sánchez, superata la fase più critica della diffusione del virus, deve accelerare o rinviare ad un futuro indefinito gli ambiziosi progetti di cambiamento contenuti nel programma concordato con Iglesias? Se ora il FMI chiede misure straordinarie per non derogare la legge sul lavoro voluta dal governo Rajoy, per contenere le spese previste per gli aumenti delle pensioni e per aumentare le imposte, cosa fare del proposito di rilanciare le prestazioni fondamentali dello stato sociale, o quello di avviare la transizione ecologica del paese, puntando attraverso questa scelta a creare e insieme valorizzare il lavoro? Che fare poi della riforma territoriale in senso plurinazionale, per sanare la crisi catalana? Questi progetti, che sono l’essenza su cui si fonda l’alleanza di governo fra la vecchia e la nuova sinistra saranno abbandonati oppure rimarranno?
Dire che queste sono domande astratte, in realtà è un modo elegante per comunicare che si è già compiuta la scelta di rinviare a tempi migliori le trasformazioni più importanti e controverse.
Nella riunione fra Sánchez e le parti sociali, la confindustria spagnola ha espressamente richiesto di indirizzare le risorse liberate dalla sicura flessibilità che la commissione europea concederà agli stati membri colpiti dall’epidemia, verso il solito piano infrastrutturale e di grandi opere.
É del tutto evidente che l’indirizzo e le priorità del cosiddetto piano d’urto contro gli effetti sociali ed economici del coronavirus, sveleranno molto del profilo che vorrà tenere il governo progressista spagnolo, quali interessi vorrà privilegiare e quali colpire, per non parlare del ruolo che vorrà assumere verso l’Europa, il soggetto politico che forse più servirebbe in questo momento e che invece finora si è rivelato inesistente, disposto solo ad elargire dei “pagherò”.
È augurabile che l’esecutivo di Sánchez scelga da subito di rimanere ancorato alle politiche trasformatrici e continui a muoversi in controtendenza con le scelte delle destre interne ed europee.
É paradossale che di fronte alla evidente inadeguatezza dei sistemi sanitari pubblici stressati dall’emergenza coronavirus, coloro che al governo negli ultimi anni ne hanno disposto il ridimensionamento, favorito l’esternalizzazione dei servizi, battendosi per la privatizzazione della salute, oggi si meraviglino, come fa il Partito popolare, della carenza di personale medico e di attrezzature sanitarie necessarie, dopo avere urlato insulti al governo progressista per essersi dato un programma di rilancio dello stato sociale.
Il silenzio della sanità privata, riempita in questi anni di soldi e poteri dalle destre e da una certa sinistra, è assordante.
Se una inversione di tendenza rispetto alle politiche di progressivo smantellamento delle prestazioni fondamentali dello stato sociale appare quindi più credibile di fronte all’evidente fallimento delle scelte liberiste di far fronte all’emergenza del coronavirus, assai più complesso è dimostrare che potrebbe essere anche una buona occasione per cambiare profondamente il modello produttivo e di consumo, come prevedeva almeno in parte il progetto del governo Sánchez di avviare una transizione ecologica. Il legame fra questa crisi sanitaria e l’emergenza ambientale, provocata dalla crisi climatica, è molto difficile da far accettare e gli interessi potenti che ne verrebbero colpiti ricorreranno ad ogni mezzo per bloccare qualsiasi cambiamento. Il diffondersi dell’epidemia svela fino in fondo l’impossibilità di procedere con mezze misure, come probabilmente ha per ora pensato Sánchez. La decisione che può prendere il governo di coalizione ha solo due alternative o arretrare, togliendo senso e credibilità al governo progressista o accelerare il cambiamento. e avviare la Spagna verso una transizione ecologica che ne cambi non solo il suo modello energetico, ma anche quello produttivo, alimentare e dei consumi.