La fascia più debole della popolazione non ha un domicilio né assistenza adeguata. Senzatetto, poveri e immigrati sono stati abbandonati a se stessi. E vengono anche multati

L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato il coronavirus pandemia. In Italia, le misure per fermare il contagio si fanno sempre più stringenti. Il messaggio è: state a casa. Già, ma chi una casa non ce l’ha? Cosa può fare chi è costretto a vivere per strada? Cosa possono fare le fasce più deboli della popolazione come i senza fissa dimora, i migranti, i richiedenti asilo? Le istituzioni, si dirà, avranno pensato anche solo ad una situazione temporanea per loro. Purtroppo invece non è così. «In questo momento nessuno ha previsto nulla – conferma Antonella Torchiaro, una delle coordinatrici mediche di Intersos – se un senza fissa dimora ha febbre, tosse o sintomi influenzali chiama il 118, finisce in pronto soccorso, con tutti i rischi del caso e l’aggravio di lavoro per gli operatori rispetto ad una persona che non dovrebbe stare lì, e una volta ok viene mandata al domicilio. Che non ha, quindi finisce per strada. Casi che purtroppo stanno succedendo». Per chi invece non ha sintomi ma, visti i vari decreti, sarebbe meglio stesse a casa, «non c’è soluzione».

A peggiorare ulteriormente le cose, almeno su Roma, una nota del Comune «che sospende le nuove accoglienze nel circuito ordinario – spiega Antonella – e in quelle del piano emergenza freddo, che poteva tutelare qualcuno. Un provvedimento che crea solo un maggior bacino di persone che non hanno una collocazione sicura».
Di fronte a tutto ciò, numerose organizzazioni umanitarie si stanno coordinando insieme per denunciare il problema sia a livello nazionale che territoriale, come ad esempio a Roma.

«La priorità – prosegue la coordinatrice Intersos – è che si parlino le istituzioni, come Sanità e Comuni, perché è il sistema pubblico a dover dare una risposta e comunque non bisogna sospendere l’accoglienza. Da parte nostra cerchiamo di lavorare congiuntamente con altre associazioni oltre a sollecitare Asl e altri enti per intraprendere attività adeguate. Abbiamo poi messo a punto procedure di pretriage per persone che dovrebbero essere accolte da strutture ordinarie, così da valutare eventuali casi di isolamento. Per le persone che non hanno nessun tipo di accoglienza ci sono poi numerosi edifici che potrebbero essere convertiti in luoghi di accoglienza straordinaria. Oppure si può pensare a tendoni come quelli della Protezione civile. Al momento stiamo capendo come le istituzioni risponderanno a queste richieste di soluzioni». Nel frattempo però resta il fatto che, a giudicare dai provvedimenti, per le stesse istituzioni alcuni esseri umani non sono contemplati. «Sono invisibili – conferma Antonella Torchiaro – e puoi anche far finta di non vederle ma queste persone esistono e sono esposte a rischi come tutti noi. Persone parte di una collettività, che come tale deve trovare soluzioni per garantire anche alle fasce più deboli di stare al sicuro».

Insieme ad Intersos, non mancano le associazioni che stanno lavorando su questo tema, come Medici per i diritti umani (Medu), che tramite canali social comunica di aver «avviato un intervento urgente di triage medico telefonico per homeless ed insediamenti precari», o come la campagna #vorreirestareacasa lanciata di recente dal centro di accoglienza romano Binario 95 – rilanciata da realtà capitoline come Pensare Migrante e Baobab Experience – per richiamare l’attenzione sulle condizioni che le persone senza dimora e i servizi di accoglienza sono chiamati a fronteggiare. Problematica che, purtroppo, se pensiamo alle condizioni di alcune strutture d’accoglienza, si allarga a macchia d’olio.

Giorni fa c’è stata una segnalazione da parte del Coordinamento migranti di Bologna – pubblicata sulla loro pagina facebook – nella quale si legge come nel centro di via Mattei «viviamo in più di 200 e dormiamo in camerate che ospitano 5 o più persone con letti vicini, uno sopra l’altro. Molte di queste stanze non hanno le finestre per cambiare l’aria. Anche la sicurezza sanitaria di donne e uomini migranti è importante e il coronavirus non discrimina tra bianchi e neri. Perché Prefettura, Questura, Regione e Comune non considerano l’affollamento dei centri di accoglienza un rischio per il contagio che mette in pericolo la nostra salute e quella di tutti?».

Domande che ancora non trovano risposte da parte delle istituzioni, se non quella denunciata nelle ultime ora da Alterego. L’associazione, dopo aver ricordato come tra le disposizioni atte a fronteggiare l’emergenza coronavirus ci sia quella che prevede un’ammenda in caso di ingiustificato allontanamento dal proprio luogo di residenza o dimora, fa sapere che «numerose segnalazioni ci sono giunte da parte di migranti, a vario titolo presenti nel nostro Paese, che già si sono visti notificare dalla polizia giudiziaria, a seguito di controlli, la violazione di tale prescrizione». Una realtà che sembra assumere contorni persecutori. Contro la quale in tanti, per fortuna, continuano a battersi.

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