Val di Scalve, meno di 5mila anime al confine tra Bergamo, Sondrio e Brescia; oltre mille metri sul livello del mare. Il coronavirus è arrivato anche qui.
Pietro Orrù, presidente della Comunità montana e sindaco di Vilminore di Scalve, meno di 1.500 abitanti, ha spiegato che «in un mese si sono concentrati i morti che solitamente si contavano in un intero anno». Un dramma nel dramma per una piccola comunità nella quale tutti conoscono tutti, giovani, adulti e anziani. È l'onda lunga del Covid-19 portato dai turisti, che fino alle restrizioni imposte dal governo Conte hanno affollato irresponsabilmente gli impianti di sci del paese.
Qui il coronavirus è arrivato un attimo dopo, quando l'emergenza in città e nella bassa Val Seriana era già scoppiata. A consegnarlo senza troppi scrupoli alla comunità sono stati, appunto, i “cittadini” che con scuole e uffici chiusi hanno deciso di passare la quarantena nella seconda casa in montagna, quella solitamente utilizzata per la settimana bianca a gennaio o in estate. Noncuranti delle disposizioni date da chi di dovere, che già da domenica 8 marzo vietava ogni spostamento fuori dal proprio comune.
A Colere, l'11 marzo, il primissimo caso. In un attimo il virus s'è diffuso a macchia d'olio, uccidendo molti anziani e costringendo all'isolamento - perché contagiati - tutti i medici di base della zona: per portare avanti il presidio sanitario si è dovuto far ricorso a un dottore e a un infermiere dell’esercito. I sindaci dell'area, in collaborazione col servizio Minori e Famiglia, hanno anche organizzato un servizio di sostegno psicologico a distanza rivolto a tutti coloro che sentono la necessità di un momento di conforto e incoraggiamento, di ascolto e aiuto nella gestione dei vissuti emotivi legati all'emergenza.
Da un lato ci sono i timori per la propria salute, la paura del contagio, la malattia o la perdita di persone care, amici e conoscenti, mentre dall’altro le regole necessarie per ridurre la diffusione del virus che comportano importanti restrizioni delle relazioni sociali e modificano fortemente la propria quotidianità. A tutto questo si aggiungono l’angoscia perché non si sa quando l’emergenza finirà, la gestione dei figli costretti a rimanere a casa e le preoccupazioni per il futuro, l’economia e il lavoro.
Qui nessuno è autorizzato a uscire di casa: negozi, bar e ristoranti sono rigorosamente chiusi, mentre spesa e farmaci vengono consegnati a domicilio. Eppure si leggono notizie di cronaca che parlano di uomini del Soccorso Alpino costretti a intervenire per recuperare escursionisti feriti o dispersi durante una gita tra le alture. L'ultimo caso giovedì 19 marzo: «Appesantire ulteriormente il sistema sanitario lombardo che è al collasso da giorni è da irresponsabili. O meglio, da delinquenti - è stato il comprensibile sfogo di Orrù sui social -. Non siamo in vacanza, state a casa».
Val di Scalve, meno di 5mila anime al confine tra Bergamo, Sondrio e Brescia; oltre mille metri sul livello del mare. Il coronavirus è arrivato anche qui.
Pietro Orrù, presidente della Comunità montana e sindaco di Vilminore di Scalve, meno di 1.500 abitanti, ha spiegato che «in un mese si sono concentrati i morti che solitamente si contavano in un intero anno». Un dramma nel dramma per una piccola comunità nella quale tutti conoscono tutti, giovani, adulti e anziani. È l’onda lunga del Covid-19 portato dai turisti, che fino alle restrizioni imposte dal governo Conte hanno affollato irresponsabilmente gli impianti di sci del paese.
Qui il coronavirus è arrivato un attimo dopo, quando l’emergenza in città e nella bassa Val Seriana era già scoppiata. A consegnarlo senza troppi scrupoli alla comunità sono stati, appunto, i “cittadini” che con scuole e uffici chiusi hanno deciso di passare la quarantena nella seconda casa in montagna, quella solitamente utilizzata per la settimana bianca a gennaio o in estate. Noncuranti delle disposizioni date da chi di dovere, che già da domenica 8 marzo vietava ogni spostamento fuori dal proprio comune.
A Colere, l’11 marzo, il primissimo caso. In un attimo il virus s’è diffuso a macchia d’olio, uccidendo molti anziani e costringendo all’isolamento – perché contagiati – tutti i medici di base della zona: per portare avanti il presidio sanitario si è dovuto far ricorso a un dottore e a un infermiere dell’esercito. I sindaci dell’area, in collaborazione col servizio Minori e Famiglia, hanno anche organizzato un servizio di sostegno psicologico a distanza rivolto a tutti coloro che sentono la necessità di un momento di conforto e incoraggiamento, di ascolto e aiuto nella gestione dei vissuti emotivi legati all’emergenza.
Da un lato ci sono i timori per la propria salute, la paura del contagio, la malattia o la perdita di persone care, amici e conoscenti, mentre dall’altro le regole necessarie per ridurre la diffusione del virus che comportano importanti restrizioni delle relazioni sociali e modificano fortemente la propria quotidianità. A tutto questo si aggiungono l’angoscia perché non si sa quando l’emergenza finirà, la gestione dei figli costretti a rimanere a casa e le preoccupazioni per il futuro, l’economia e il lavoro.
Qui nessuno è autorizzato a uscire di casa: negozi, bar e ristoranti sono rigorosamente chiusi, mentre spesa e farmaci vengono consegnati a domicilio. Eppure si leggono notizie di cronaca che parlano di uomini del Soccorso Alpino costretti a intervenire per recuperare escursionisti feriti o dispersi durante una gita tra le alture. L’ultimo caso giovedì 19 marzo: «Appesantire ulteriormente il sistema sanitario lombardo che è al collasso da giorni è da irresponsabili. O meglio, da delinquenti – è stato il comprensibile sfogo di Orrù sui social -. Non siamo in vacanza, state a casa».