Dalle corsie degli ospedali a quelle dei supermercati. Come tutto il personale sanitario, cassiere e commessi sono anch'essi in prima linea. Spesso con strumenti del tutto inadeguati per difendersi dal contagio

«Siamo sfiniti. Stiamo lavorando otto-dieci ore di fila con la stessa mascherina da giorni perché sono introvabili e quelle che sono riusciti a darci sono quelle senza filtro. Ciò nonostante, stiamo dando il massimo. In cassa, nei banchi, nei reparti per rifornire gli scaffali, mentre discutiamo in continuazione con i clienti affinché rispettino la distanza di sicurezza. Talvolta veniamo insultati, presi in giro, perché diciamo che in due non si può entrare, che può accedere a fare la spesa un solo componente a famiglia».

Questa testimonianza di una commessa di una nota catena di supermercati – che ha chiesto a Left di rimanere anonima – è solo una delle molte grida d’allarme che arrivano dai lavoratori del settore. Costretti ad uscire di casa per rifornire scaffali e battere scontrini anche a pandemia in corso, affinché sia garantito un servizio essenziale per i cittadini come l’approvvigionamento di beni alimentari e di prima necessità.

Cassieri, commessi, addetti alle vendite: ogni giorno sfrecciano tra “corsie” diverse da quelle degli ospedali, ma proprio come medici ed operatori sanitari sono “in prima linea” tra chi lotta e resiste ai tempi del coronavirus. E anche loro, sovente, sono costretti ad operare in assenza delle misure minime di sicurezza. Tra scarsità generale di mascherine (a volte portate da casa dai lavoratori), tute protettive che restano un miraggio, vetri divisori in plexiglas alle casse presenti solo in una porzione dei punti vendita, assembramenti difficili da evitare, clienti irresponsabili che escono per comprare prodotti inessenziali o addirittura colgono la possibilità andare al supermarket durante il lockdown come una semplice occasione di svago.

«Siamo allo sbaraglio», «siamo allo sbando», «siamo in balia dei clienti», «[servono] tamponi immediati, siamo stati esposti come gli infermieri e per di più senza tutela» sono le dichiarazioni rilasciate dal personale della categoria ad AdnKronos.

In un supermercato di Mestre il 18 marzo due clienti hanno iniziato a sbeffeggiare senza motivo una cassiera, per poi tossigli in faccia per dispetto. Una delle due donne, successivamente identificata dalle forze dell’ordine, è risultata positiva al coronavirus. La dipendente, alla quale non erano ancora state consegnate le mascherine in dotazione, sotto choc, è stata messa in quarantena. A Livorno il 19 marzo un commesso si è preso un cazzotto da un avventore per avergli chiesto di rispettare la distanza di sicurezza. Accompagnato al pronto soccorso, gli sono stati refertati tre giorni di prognosi. E poi c’è il caso della cassiera 48enne di Brescia, morta il 20 marzo dopo una rapida malattia con sintomi sovrapponibili a quelli del Covid-19.

Il 26 marzo a perdere la vita è invece una guardia giurata che lavorava in un supemercato a Novara in corso Giulio Cesare. Era stato da poco trasferito nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Maggiore, dopo aver mostrato alcune complicanze legate all’infezione da coronavirus. Aveva 33 anni.

Vicende drammatiche, che ritraggono lavoratori “in trincea”, tra scaffali ed espositori. I loro numerosi sos hanno portato i sindacati a mobilitarsi, anche dopo il varo del “Protocollo per la sicurezza nelle aziende” in 13 punti firmato da confederali ed organizzazioni datoriali il 14 marzo, che di fatto derubrica a semplici raccomandazioni quelle che dovrebbero essere prescrizioni inderogabili a garanzia dell’incolumità dei lavoratori, come la pulizia dei locali e l’obbligo delle mascherine quando non si può rispettare costantemente la distanza interpersonale di un metro.

Le sigle sindacali hanno chiesto innanzitutto la rimodulazione delle aperture, per dare una boccata d’aria ai lavoratori. «Ridurre il nastro orario di apertura di tutte le attività commerciali e della ristorazione a 12 ore al giorno e chiudere nella giornata di domenica tutti i punti vendita, compresi quelli di generi alimentari» è la richiesta inoltrata dalle sigle di categoria di Cgil, Cisl e Uil al presidente del Consiglio Conte. «In assenza di risposte urgenti da parte del governo – prosegue la nota dei confederali – i sindacati non escludono azioni di protesta spontanee a livello territoriale».

«Restringimento degli orari di vendita al pubblico, una persona per famiglia, guanti e mascherine a norma per tutti, potenziamento della spesa online, chiusura domenicale di tutti gli esercizi commerciali. Perché altrimenti sarà un disastro annunciato. Salvate i soldati della Grande distribuzione organizzata», ha dichiarato Francesco Iacovone, sindacalista dei Cobas Lavoro Privato.

«Quei lavoratori che trovate nei supermercati – scrive Iacovone in un post – oltre ad essere esposti a un rischio altissimo, non sono preparati psicologicamente ad affrontare tutto questo. Non hanno il “pelo sullo stomaco” degli eroi della sanità. Non hanno le giuste protezioni e la paura vincerà sulla loro psiche già troppo provata. Non ho una soluzione stavolta, mi sento fragile anche io. Devo ripensare questa nuova condizione. Ma so che non ce la faranno a reggere per troppo tempo. Non sanno come abbracciare i propri figli al rientro a casa, a baciare le mogli e i mariti. Sempre in tensione per sperare in una distanza che non c’è mai. Sempre attenti a non togliere una mascherina che non ti protegge affatto perché logora e non a norma, quando c’è. Ecco, io non so come finirà tutta questa storia, ma loro – eroi per puro caso – ne usciranno a pezzi. Se ne usciranno. Se ne usciremo. A voi il mio sostegno e il mio affetto».

Le richieste dei sindacati, in alcuni casi, sono state recepite. Non dal governo, che al momento non ha disposto alcuna limitazione agli orari di apertura dei supermercati – neanche nel decreto del 22 marzo con cui viene estenso il fermo produttivo – ma dalle Regioni. Al momento: Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Sicilia, Campania e Calabria hanno disposto la chiusura di supermarket e alimentari la domenica e nei giorni festivi. Nel Lazio, invece, orari ridotti sia durante la settimana (8.30 – 19) che la domenica (8.30 – 15).

Anche alcune catene della Grande distribuzione organizzata, le insegne dove facciamo la spesa, si sono mosse autonomamente. Per prima lo ha fatto Coop, optando per due chiusure domenicali e la rimodulazione degli orari. A seguire molte altre aziende hanno modificato le proprie fasce di apertura, con misure in genere più blande.

Scelte che senza dubbio allentano la pressione sul personale dei supermercati in questo momento difficile e quindi non possono – da questo punto di vista – che essere applaudite. Scelte che vanno incontro anche all’esigenza di commessi e scaffalisti di poter rientrare agilmente a casa a fine turno, dato che in alcune zone d’Italia gli orari dei mezzi pubblici sono stati rivisti. Ma la riduzione delle aperture pone anche alcuni dubbi.

Secondo alcuni, il rischio è che i nuovi orari facciano aumentare gli assembramenti dentro e fuori i supermercati, e dunque incrementare le occasioni di contagio, specie se non vi sarà un salto di qualità della “maturità” dei clienti. Senza contare altre possibili maggiori difficoltà. Per gli operatori nel gestire gli accessi scaglionati a regime orario ridotto. Per chi continua a lavorare (personale sanitario, forze dell’ordine, ecc.) nel poter fare agilmente la spesa. Un altro effetto collaterale potrebbe essere il senso di allarme e urgenza che genera nelle persone l’idea che l’accesso agli esercizi commerciali sia disponibile per minor tempo, specie in un momento in cui il rifornimento di generi alimentari è avvertito come una preoccupazione primaria, circostanza che potrebbe generare ulteriori accalcamenti (come quello avvenuto all’Esselunga di Prato il 21 marzo, la cui foto è già diventata un simbolo).

Ora, a margine di queste previsioni, la cui validità potrà essere valutata con più accuratezza nei prossimi giorni – e fermo restando che le rivendicazioni di lavoratori e sindacati sono urgentissime, inderogabili e fuori discussione – sorge spontanea una considerazione. Nella settimana tra il 9 marzo e il 15 marzo le vendite dei supermercati sono state superiori in valore del 16,4% rispetto allo stesso periodo del 2019 a parità di negozi, secondo le stime di Nielsen. E anche le due precedenti settimane avevano visto un trend positivo a doppia cifra. Mentre se andiamo ad analizzare la crescita dell’e-commerce, ossia della “spesa online”, dal 17 febbraio al 15 marzo lo stesso istituto registra una crescita del 79,8%. Un andamento prevedibile, viste le inevitabili abitudini maggiormente “domestiche” degli italiani. Perché dunque non chiedere uno sforzo in più alle insegne dei supermercati?

Al di là delle pur lodevoli iniziative di beneficenza di cui le catene della Grande distribuzione organizzata si sono rese protagoniste – e mentre Federdistribuzione in una nota già si mostra preoccupata per il futuro calo dei consumi interni post emergenza Coronavirus – di fronte a queste cifre monstre relative alle vendite le principali insegne dei supermercati potrebbero dimostrare davvero attenzione per i consumatori e senso di responsabilità verso il Paese realizzando un serio piano di assunzioni per permettere una maggior turnazione dei lavoratori nei punti vendita – dove spesso, lo ricordiamo, operano non solo dipendenti ma anche personale reclutato dalle agenzie interinali e operatori di cooperative esterne, in una scala discendente di diritti e di tutele. Lavoratori che, gradualmente, potrebbero essere inseriti in pianta stabile negli organici dei supermercati ad emergenza conclusa. Perché il problema dell’eccessivo carico di lavoro dei commessi è esploso col coronavirus, certo, ma ha origini ben più radicate.

Una parte di questo personale potrebbe lavorare sia “sul campo” che in smart working per garantire la funzionalità della spesa online, in questo momento quasi impossibile da effettuare in tempi accettabili, come ha dimostrato una inchiesta del Salvagente. E questo a prescindere dalla modulazione degli orari di apertura.

Ai commessi, nei giorni scorsi, è arrivato un plauso persino da Walter Ricciardi, membro dell’esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza: «Vostro lavoro importantissimo, grazie», scrive su Twitter. Sarebbe il momento che anche le insegne dei supermercati ringrazino davvero i propri “eroi delle corsie”, e pure i consumatori che stanno garantendo loro extra profitti, non soltanto permettendo che si possa fare la spesa ed operare nei punti vendita in completa sicurezza (è il minimo), ma compiendo un investimento importante perché un servizio essenziale sia garantito nel migliore dei modi e nel rispetto della salute fisica e mentale del personale. Un ringraziamento non a parole, ma nei fatti. Vale la pena che governo e sindacati lo suggeriscano ai Big della distribuzione.

* Articolo aggiornato il 26 marzo alle ore 22.24