«È necessario cambiare il paradigma sociale», dice il movimento femminista Euskal Herria. A rischio soprattutto le persone non autosufficienti, i migranti, i detenuti, le vittime di violenza maschile

Non è solo una pandemia, è una delle più grandi crisi sanitarie e sta dimostrando tutta la fragilità del lavoro di assistenza e di cura. Questo coronavirus ha messo in evidenza in Spagna, come nel resto del mondo, il bisogno di un ripensamento sociale e pubblico del lavoro riproduttivo, quello che da sempre grava sulle donne, che vedono ancora di più il proprio tempo annullato dalle esigenze degli altri.

Così il movimento femminista Euskal Herria, Paesi Baschi, con un comunicato molto determinato, uscito in concomitanza con la dichiarazione dello stato di allerta sanitaria e con le prime misure di distanza sociale, ha chiesto di aprire un tavolo di discussione per affrontare la crisi della cura durante l’emergenza del coronavirus. «Attualmente è stato decretato lo stato di allarme e si è proceduto alla chiusura e al confinamento delle persone, ma non è stata data alcuna misura governativa per una risposta collettiva. È prevista solo una risposta individuale a questa emergenza. Vogliamo ricordarvi che no, che anche se siamo confinate nelle nostre case, l’organizzazione deve essere collettiva. Ne usciremo, solo se ne usciamo insieme».

E in meno di 48 ore, i partiti politici della sinistra dell’opposizione, i principali sindacati, gli agenti sociali e gli esperti di economia, violenza maschile, salute e politica pubblica si sono uniti al tavolo per una prima
riunione in forma telematica, per definire gli obiettivi della tabella di marcia e stabilire la metodologia e un programma di lavoro.
Le femministe spagnole pensano a come combattere il Covid-19 da una prospettiva di genere, già sapendo che nelle recenti crisi sanitarie il ruolo delle donne non solo è stato ignorato, ma meno dell’1% degli studi accademici prodotti successivamente sono stati dedicati allo studio di questo impatto.

«Anche se siamo confinate nelle nostre case, l’organizzazione deve essere collettiva. La violenza maschile non sarà messa in quarantena in questa crisi. Non serve a nulla uscire da questa crisi per rimanere gli stessi, è necessario cambiare il paradigma sociale». Le femministe non sanno più come dirlo che occorre cambiare il modello neoliberale imposto, basato sui mercati e sulla fiducia nell’autosufficienza individuale e iniziare a mettere al centro la vita materiale, una volta per tutte. «La nostra società ha vissuto centrata sui mercati e sulle logiche del consumo e ora ci accorgiamo che non siamo pronti a proteggere la vita delle persone».

Le donne spagnole hanno imparato dall’economia femminista che bisogna riconoscere che il lavoro considerato produttivo è sostenuto dal lavoro di cura, che non viene né riconosciuto né retribuito, e proprio per questo le femministe si impegnano a farlo uscire dall’invisibilità delle mura domestiche dove spesso è confinato.
C’è molta preoccupazione per alcune delle misure adottate, si pensa che possano aggravare questa crisi vissuta individualmente. Si resta a casa, per chi una casa ce l’ha, senza conoscere le misure di compensazione economica, vengono proibiti nuovi ingressi nelle case di riposo o nelle lunghe degenze, ma non viene detto come fare per assistere le persone non autosufficienti, non si parla di quei migranti senza diritto alla salute, ma spesso sono proprio le persone migranti a svolgere una quota sproporzionata del lavoro di assistenza, o non si parla della popolazione detenuta a rischio di contagio, o cosa può fare una vittima di violenza maschile, isolata e senza la possibilità di sottrarsi al proprio aggressore.

La consapevolezza del movimento femminista dei Paesi Baschi va oltre l’avvertimento dei rischi. Pensa sia necessario contare sulla rete di tutti i movimenti sociali per coordinarsi e dare una risposta efficace alla situazione che si sta vivendo. E come movimento femminista, si sentono pronte a individuare e coordinare questa risposta di fronte all’incapacità allarmante degli Stati e dei governi di vedere la dimensione strutturale dell’assistenza e del lavoro di cura.

Si legge nel documento: «Le ultime crisi hanno colpito la popolazione, soprattutto le persone più vulnerabili, a causa dei tagli alla salute e ai servizi pubblici. La società impoverita deve ora affrontare il collasso sociale perché non è pronta ad affrontare queste crisi bio-eco-politiche. Sarà inutile uscire da questa crisi per continuare così come siamo; è necessario cambiare il paradigma sociale».
Ecco perché c’è una sola via d’uscita dalla crisi causata dal Covid-19, che parte dal riconoscimento della centralità sociale dell’assistenza: maggiori e migliori servizi pubblici e la corresponsabilità dei diversi attori sociali nel fornire e ricevere assistenza in modo equo e dignitoso.