Orbán siamo noi. Siamo noi quando pretendiamo di avere risposte semplici a temi complessi e decidiamo di affidarci a chi grida meglio, a chi grida più forte, a chi si propone come soluzione senza parlare di soluzioni e senza proporre piani di intervento.
L’Ungheria che concede pieni poteri senza limiti temporali al suo capo dell’esecutivo siamo noi, è la fotografia dell’Europa che si sgretola ogni volta che c’è da essere forti con i forti e invece è sempre così brava a essere forte con i deboli.
Orbán è lo stesso che già nel 2012 aveva falciato la Costituzione ungherese calpestando l’autonomia del potere giudiziario e noi abbiamo fatto finta di non accorgercene. Tornavano utili i suoi voti, tornava utile il suo consenso e così la notizia è passata come una di quelle colorite notizie di politica estera mentre era già qualcosa di gravissimo.
Chi parla di libere elezioni in Ungheria non ha minimamente idea di cosa significhi da quelle parti fare opposizione, anche solo scrivere contro il governo. Orbán siamo noi quando pensiamo che i diritti degli altri siano qualcosa che possiamo permetterci di non considerare perché non intaccano i nostri. E invece noi siamo l’Europa, Orbán è l’Europa e quindi Orbán siamo un po’ anche noi.
Come scrive Nadia Urbinati: «Dalla sconfitta dei fascismi, le costituzioni servono non a incoronare il potere costituito ma a limitarlo, per garantire i diritti civili, che sono in primo luogo diritti di parola, di associazione e di movimento. Orbán con i pieni poteri ha la discrezione di limitare questi diritti – di fare obbedire in silenzio. Può, come richiede la pandemia, limitare il diritto di spostamento; ma può anche (come la pandemia non richiede) limitare il diritto di giudicare e criticare chi decide».
Orbán siamo noi quando decidiamo di disinteressarci dell’Europa e di trattare la politica estera come figurine: a gennaio di quest’anno già si era discusso dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (che tratta proprio dei diritti minimi dei Paesi membri) e dell’incapacità del Consiglio di applicare le dovute sanzioni a Polonia e Ungheria.
E alla fine siamo arrivati qui. A dover tirare fuori tutta la voce che abbiamo, in un momento come questo, per dire che no, noi non siamo Orbán.
Buon mercoledì.