Mentre giungeva la notizia, attesa e prevista, dell’inevitabile lockdown in Italia almeno fino a metà aprile per contenere il contagio da Covid-19 ci è venuto in mente un quadro amatissimo di Henri Matisse, in cui un violinista suona a finestre aperte, rivolto ad ascoltatori sconosciuti, con la speranza-certezza che il suo “canto” raggiunga altri esseri umani. Un’immagine evocativa, dipinta nel 1918 anno in cui si diffuse l’epidemia di spagnola e che oggi si arricchisce di significati alla luce di quel che stiamo vivendo. Un’immagine che ci parla del potere dell’arte e dell’immaginazione capace di portare il cielo in una stanza, di aprire orizzonti imprevisti. Un’immagine quella del suonatore di violino, tante volte evocata su queste pagine dallo psichiatra Massimo Fagioli nel parlare di cura della malattia mentale, di valori umani universali, di vitalità, di resistenza, di capacità di reagire.

Sapienza, interesse per l’altro e resistenza, in questi lunghi e drammatici giorni di lotta alla pandemia, si sono viste nello straordinario lavoro di medici, infermieri e operatori sanitari in prima linea, che troppo spesso hanno rischiato e patito il contagio in prima persona. Ma qualcosa di profondamente umano abbiamo visto anche in piccoli gesti quotidiani di solidarietà e nei tanti concerti improvvisati sui balconi che hanno creato una corrente di canti, di note e di energia che è passata, come un contagio positivo, di casa in casa. In questi giorni segnati dalla preoccupazione e dal dolore per i morti, abbiamo visto dignità, rispetto, senso del vivere collettivo, consapevolezza dell’importanza dei legami sociali, dell’importanza della tutela della salute, fisica e psichica, intesa non solo come bene individuale, ma come bene pubblico e collettivo, come diritto universale di accesso alle cure, così come è scritto nella nostra Costituzione.

Certo si prova una sensazione strana, diciamolo, nel sentir decantare il nostro sistema sanitario nazionale da politici che hanno contribuito prodigiosamente ad affossarlo, definanziandolo. Ma tant’è. Speriamo almeno che la durissima realtà che stiamo vivendo faccia aprire gli occhi a quante più persone possibili riguardo ai danni prodotti dai tagli alla sanità pubblica e alla ricerca scientifica. Per battere questa e le altre pandemie che potrebbero arrivare occorrono studio, grande preparazione, assunzioni straordinarie di medici e personale sanitario, intervento pubblico non solo a livello nazionale. Massicci investimenti in ricerca non sono più rinviabili.

Se la pandemia ha messo in ginocchio la sanità nelle regioni del Nord cosa sarebbe accaduto se avesse colpito in primis il Meridione? Parliamo di regioni che già soffrono di una annosa carenza di strutture, di personale, di obsolescenza di macchinari sanitari, tanto che da tempo i cittadini del Sud sono costretti a spostarsi in altre Regioni per avere accesso a adeguate cure mediche e specialistiche. Quanto fosse scellerato il progetto dell’autonomia differenziata, questa pandemia l’ha reso plasticamente evidente a tutti. Finita l’emergenza ci auguriamo che almeno il centrosinistra abbia imparato la lezione, e riponga nel cassetto l’infausto provvedimento. Ancor più la demagogia sovranista sta dimostrando tutta la sua criminale miopia: cosa sarebbe accaduto se la pandemia fosse scoppiata in uno scenario di piccole patrie come monadi non comunicanti?

L’Europa ha fallito nel contenimento del contagio non per eccesso di poteri ma perché non ha strumenti di governo sanitario, che sono demandati ai singoli Stati. Fallisce perché non ha un’unità politica, inclusiva e democratica ed è una mera unione di mercati. Niente eurobond (o “coronabond”) che avrebbero il senso di un’azione corale e solidale, ma ricorso al Mes dicono i tedeschi che graziosamente ci concedono di indebitarci in cambio di garanzie pesanti come un cappio al collo. Di fronte a questa debacle la soluzione è un’Europa più unita e democratica, che superi i singoli egoismi. Tanto più perniciosa è la pazza chiusura delle frontiere modello Orbán, che con la scusa dell’emergenza sanitaria ha chiesto e ottenuto pieni poteri imponendo di fatto una dittatura. Violenta, repressiva quanto inconcludente se osservata dal punto di vista della salute dei cittadini, dacché con tutta evidenza il coronavirus non ha bisogno di passaporto e non conosce confini.

Il sovranista che al Papete chiedeva a sua volta pieni poteri sostiene Orbán, affermando che il Parlamento ungherese ha «deciso democraticamente». Dire che è stato un voto di maggioranza non è certo una garanzia. La storia insegna. Anche le leggi fascistissime furono votate dal Parlamento eletto nel 1924. Cosa aspetta l’Unione europea a varare provvedimenti solidali con i Paesi messi in ginocchio dalla pandemia e ad espellere chi fa prove tecniche e pratiche di fascismo?

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L'editoriale è tratto da Left in edicola dal 3 aprile 

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Mentre giungeva la notizia, attesa e prevista, dell’inevitabile lockdown in Italia almeno fino a metà aprile per contenere il contagio da Covid-19 ci è venuto in mente un quadro amatissimo di Henri Matisse, in cui un violinista suona a finestre aperte, rivolto ad ascoltatori sconosciuti, con la speranza-certezza che il suo “canto” raggiunga altri esseri umani. Un’immagine evocativa, dipinta nel 1918 anno in cui si diffuse l’epidemia di spagnola e che oggi si arricchisce di significati alla luce di quel che stiamo vivendo. Un’immagine che ci parla del potere dell’arte e dell’immaginazione capace di portare il cielo in una stanza, di aprire orizzonti imprevisti. Un’immagine quella del suonatore di violino, tante volte evocata su queste pagine dallo psichiatra Massimo Fagioli nel parlare di cura della malattia mentale, di valori umani universali, di vitalità, di resistenza, di capacità di reagire.

Sapienza, interesse per l’altro e resistenza, in questi lunghi e drammatici giorni di lotta alla pandemia, si sono viste nello straordinario lavoro di medici, infermieri e operatori sanitari in prima linea, che troppo spesso hanno rischiato e patito il contagio in prima persona. Ma qualcosa di profondamente umano abbiamo visto anche in piccoli gesti quotidiani di solidarietà e nei tanti concerti improvvisati sui balconi che hanno creato una corrente di canti, di note e di energia che è passata, come un contagio positivo, di casa in casa. In questi giorni segnati dalla preoccupazione e dal dolore per i morti, abbiamo visto dignità, rispetto, senso del vivere collettivo, consapevolezza dell’importanza dei legami sociali, dell’importanza della tutela della salute, fisica e psichica, intesa non solo come bene individuale, ma come bene pubblico e collettivo, come diritto universale di accesso alle cure, così come è scritto nella nostra Costituzione.

Certo si prova una sensazione strana, diciamolo, nel sentir decantare il nostro sistema sanitario nazionale da politici che hanno contribuito prodigiosamente ad affossarlo, definanziandolo. Ma tant’è. Speriamo almeno che la durissima realtà che stiamo vivendo faccia aprire gli occhi a quante più persone possibili riguardo ai danni prodotti dai tagli alla sanità pubblica e alla ricerca scientifica. Per battere questa e le altre pandemie che potrebbero arrivare occorrono studio, grande preparazione, assunzioni straordinarie di medici e personale sanitario, intervento pubblico non solo a livello nazionale. Massicci investimenti in ricerca non sono più rinviabili.

Se la pandemia ha messo in ginocchio la sanità nelle regioni del Nord cosa sarebbe accaduto se avesse colpito in primis il Meridione? Parliamo di regioni che già soffrono di una annosa carenza di strutture, di personale, di obsolescenza di macchinari sanitari, tanto che da tempo i cittadini del Sud sono costretti a spostarsi in altre Regioni per avere accesso a adeguate cure mediche e specialistiche. Quanto fosse scellerato il progetto dell’autonomia differenziata, questa pandemia l’ha reso plasticamente evidente a tutti. Finita l’emergenza ci auguriamo che almeno il centrosinistra abbia imparato la lezione, e riponga nel cassetto l’infausto provvedimento. Ancor più la demagogia sovranista sta dimostrando tutta la sua criminale miopia: cosa sarebbe accaduto se la pandemia fosse scoppiata in uno scenario di piccole patrie come monadi non comunicanti?

L’Europa ha fallito nel contenimento del contagio non per eccesso di poteri ma perché non ha strumenti di governo sanitario, che sono demandati ai singoli Stati. Fallisce perché non ha un’unità politica, inclusiva e democratica ed è una mera unione di mercati. Niente eurobond (o “coronabond”) che avrebbero il senso di un’azione corale e solidale, ma ricorso al Mes dicono i tedeschi che graziosamente ci concedono di indebitarci in cambio di garanzie pesanti come un cappio al collo. Di fronte a questa debacle la soluzione è un’Europa più unita e democratica, che superi i singoli egoismi. Tanto più perniciosa è la pazza chiusura delle frontiere modello Orbán, che con la scusa dell’emergenza sanitaria ha chiesto e ottenuto pieni poteri imponendo di fatto una dittatura. Violenta, repressiva quanto inconcludente se osservata dal punto di vista della salute dei cittadini, dacché con tutta evidenza il coronavirus non ha bisogno di passaporto e non conosce confini.

Il sovranista che al Papete chiedeva a sua volta pieni poteri sostiene Orbán, affermando che il Parlamento ungherese ha «deciso democraticamente». Dire che è stato un voto di maggioranza non è certo una garanzia. La storia insegna. Anche le leggi fascistissime furono votate dal Parlamento eletto nel 1924. Cosa aspetta l’Unione europea a varare provvedimenti solidali con i Paesi messi in ginocchio dalla pandemia e ad espellere chi fa prove tecniche e pratiche di fascismo?

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 3 aprile 

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