I professionisti della cultura sono stati i primi a fermarsi e saranno gli ultimi a tornare al lavoro. Molti sono a casa già dal 23 febbraio, quando teatri e cinema sono stati costretti a chiudere per il timore del propagarsi dell’epidemia di Coronavirus. E gli ultimi tra loro sono stati gli archeologi, la cui associazione nazionale (Ana) ha sollevato per settimane il problema dei cantieri non sicuri, attivi anche dopo il decreto del 22 marzo che obbligava a chiudere i servizi non necessari, non essenziali e differibili: nei cantieri, infatti, non è quasi mai possibile osservare le norme sanitarie di sicurezza ora in vigore. Contemporaneamente, del resto, c’era chi brindava lanciando hashtag come #MilanoNonSiFerma e non diceva una parola in risposta a Confindustria. Ma già qualche giorno prima, chi opera nel settore culturale aveva sperato che quello che è poi stato chiamato Decreto Cura Italia, emanato il 17 marzo, restituisse un minimo di dignità alla propria professione.
Così non è stato, perché molti sono stati esclusi da qualsiasi forma di ammortizzatore previsto e fanno oggi parte di coloro che chiedono un reddito di base universale o un reddito di quarantena. Sono ad esempio gli intermittenti dello spettacolo (circa 200mila “a chiamata”) che in altri Paesi hanno ottenuto in questa fase misure adeguate. In Francia possono contare persino su una legge che ne norma lo status giuridico, mentre in Italia non possono nemmeno ammalarsi, perché non verrebbero pagati, nonostante abbiano sempre pagato i contributi. Solo alcune regioni, infatti, hanno stabilito che potranno accedere alla cassa integrazione in deroga. E non sono solo attori e musicisti, di cui almeno un po’ si parla grazie ai volti noti scelti da Fondazione Centro Studi Doc per la campagna “Nessuno escluso” (Manuel Agnelli, Fabio Concato, Cristina Donà, Frankie Hi-Nrg, Mannarino, Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri e altri) ma anche tecnici, attrezzisti e coloro che ci permettono di assistere a concerti ed eventi. Chiusi in casa come tutti, si sono incontrati virtualmente attraverso i social o Zoom e Skype.
Lo hanno fatto creando per l’occasione il gruppo Facebook Emergenza Continua: per la tutela dei professionist@ dello spettacolo, da un’idea di Adl Cobas Parma, e hanno continuato a farlo i gruppi regionali di Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, attivi già dal 2015. Leggere i loro post equivale a compiere un viaggio in un mondo che la maggior parte di noi conosce poco pur frequentando i luoghi della cultura. Le testimonianze raccolte rendono la portata di un sistema di caporalato culturale che questi attivisti, per lo più giovani, intendono ribaltare. Mi Riconosci, che già tre anni or sono aveva lanciato un Piano per il lavoro culturale, ha ideato un questionario che ha permesso la terza raccolta dati a cura dell’associazione, partendo dalla constatazione che quando cambia il nostro lavoro, cambia la nostra vita.
Scopriamo così che metà degli intervistati ha subito l’interruzione di ogni attività lavorativa e l’azzeramento totale delle entrate, e che il 30% degli interpellati sa di non poter resistere in questa condizione più di un mese, mentre altri riconoscono che ci riusciranno solo grazie all’aiuto insostituibile della famiglia. C’è chi vorrebbe fosse riconosciuta la disoccupazione alle partite Iva, e chi, con un contratto a breve termine, non sa a cosa appellarsi.
Oppure chi, con un contratto a tempo indeterminato si è visto chiedere di acconsentire improvvisamente ad una riduzione oraria per essere pagato meno. Solo il 22% degli intervistati ritiene adeguate le misure intraprese finora dal governo, ma tutti hanno le idee chiare su cosa servirebbe: estensione degli ammortizzatori sociali, da subito, ma anche più vincoli alle imprese, tutele contrattuali per i lavoratori, sgravi fiscali alle imprese del settore, investimenti pubblici.
Ci sono naturalmente anche richieste condivise con lavoratori di altri ambiti: la sospensione del mutuo o del pagamento dell’affitto, un’entrata per gli stagionali e per chi è in ritenuta d’acconto, o un maggiore finanziamento nella prossima Legge finanziaria del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo (musica, cinema, teatro, danza, circo), secondo alcuni gestito attraverso favoritismi clientelari, quando quello della concorrenza dovrebbe essere un principio guida. La paura diffusa è che pur di lavorare alcuni accettino post-pandemia paghe sempre più basse, concorrendo a peggiorare la condizione di precarietà dell’intero comparto, già critica pre-pandemia, fatta cioè di stipendi ridicoli, lavoro nero, utilizzo di volontari al posto di persone formate ed esternalizzazioni che non fanno che arricchire le solite società alle quali chi visita monumenti e musei magari guarda con ingenuo interesse.
Il Decreto Liquidità dell’8 aprile ha dato speranza ad alcuni, estendendo gli ammortizzatori sociali previsti nel precedente Decreto Cura agli assunti dal 24 febbraio al 17 marzo. Questo però non cambia la sostanza: l’orizzonte non devono essere le misure emergenziali, perché come alcuni ripetono, «Siamo precari da prima che esistesse il precariato». Ossia, la situazione era già drammatica da tempo e serve ora una riforma di lungo respiro, strutturale, scritta assieme alle rappresentanze di chi questo settore lo conosce perché ci lavora, permettendo al ministro competente di sottolineare spesso quanto sia importante il suo incarico in ragione dell’indotto che deriva proprio da queste industrie. L’analisi dell’inchiesta di Mi Riconosci, conclusasi il 3 aprile, sarà presentata on line martedì 14 aprile alle 18. Sarebbe importante che qualcuno al Mibact smettesse per un attimo di twittare #iorestoacasa o #celafaremo e si collegasse, perché a quanto pare ce la faremo solo ascoltandoci.