«Essere apolide è una delle peggiori situazioni in cui si può trovare una persona. Sei invisibile, non hai nessun diritto, sei l’ultimo della fila. Emozionalmente molesta, danneggia, provoca dolore, ma quando uno sa perché si trova in quella situazione, allora la condizione di apolide non riesce a schiacciarti», descrive così Luis Sepúlveda la dolorosa esperienza della cittadinanza negata dopo essere stato esiliato (e torturato) dal Cile di Pinochet, e i suoi 31 anni da apolide poi raccontati nel libro Storie ribelli (Guanda).
Nel contesto mondiale attuale, come immagini il futuro delle prossime generazioni? Riusciranno loro a provocare i cambiamenti necessari e ormai urgenti?
È una incognita, e io preferisco opinare su ciò che faccio io stesso per cambiare le cose che considero ingiuste. Il futuro è imprevedibile. Mi piace essere ottimista, ma vacillo quando noto che appena quattro gatti assistono a una conferenza di un esperto ambientale mentre uno youtuber ha un milione di follower. A questo punto della partita, l’unica certezza che ho è che nel mondo esiste una minoranza dignitosa, sensibile e incoraggiante.
Cosa sta accadendo in Spagna dopo le ultime elezioni in cui sembra che si fosse provato a fermare il fascismo?
Non è stato fermato per nulla il fascismo. Prima delle elezioni gli eredi del franchismo erano accovacciati nell’ombra, semi nascosti nel Partito popolare. Ora, attraverso Vox, un partito apertamente fascista, sono presenti in Parlamento e in tutte le istituzioni. C’è stata la possibilità di un governo progressista, guidato dal Psoe e da Podemos, ma in questi giorni abbiamo assistito alla real politik, visto che l’ala della destra del Psoe esige una virata al centrodestra e Podemos si è perso in un gioco di egocentrismo inesplicabile. In Europa avanzano le ultra destre. In Italia cresce Fratelli d’Italia e c’è la lega di Matteo Salvini, che, nonostante da ministro abbia attuato politiche inumane, ha comunque grossi consensi. Stiamo assistendo a una ripetizione della storia ma in altre chiavi. Il capitalismo ha generato una crisi economica con un solo obiettivo: imporre precarietà salariale, l’incertezza del lavoro e la negazione dei diritti come normalità. Prima della crisi, la normalità era lottare per migliorare i salari e per ottenere più diritti, ora la normalità è pregare perché i salari non vengano abbassati e perché ci tolgano sempre meno diritti. E siccome bisogna sempre trovare un colpevole, prima erano gli ebrei, ora i colpevoli sono i poveri e coloro che avvertono che il mondo si sta mettendo male, molto male.
Anche l’America Latina passa un momento storico complicato: il Brasile con Bolsonaro, l’Argentina con Macri, il Cile con Piñera. E poi l’Ecuador, la Colombia. E se guardiamo al Centroamerica, non é meglio la situazione, in Honduras, El Salvador, Haiti, Nicaragua…. Che ne pensi di queste ondate di destra neoliberista?
Il loro obiettivo è riuscire a far sì che le persone accettino di essere sfruttate come fosse una cosa normale, che accettino il saccheggio delle risorse e i crimini ambientali come l’unica normalità possibile. Del resto, da molto tempo ormai, la sinistra o parte di essa, ha smesso di pensare che ci possano essere alternative visibili e possibili al neoliberismo.
Che futuro vedi per il Venezuela?
L’unica possibilità per il Venezuela di uscire dallo status quo attuale è che decidano i venezuelani, senza ingerenze esterne. Però in America Latina non è tutto “nero”. Restano ancora delle “isole felici” come Bolivia e Uruguay. Quest’ultimo a fine mese andrà alle elezioni nazionali e bisogna vedere se la sinistra riuscirà a mantenersi al governo.
Conosci bene Pepe Mujica, cosa ne pensi del suo modo di fare politica?
Di Pepe Mujica ciò che ammiro è la capacità di essere anche un grande pedagogo, la sua capacità di parlare chiaro, di dire che siamo maledettamente limitati e che è poco quello che si può fare, perché il capitalismo ha vinto, ma bisogna tentare di fare qualcosa, anche se è poco.
In queste ultime settimane “grazie” agli incendi in Amazzonia si è molto parlato del tentativo di sterminio degli indios brasiliani. Tu e la tua compagna, la poetessa cilena Carmen Yañez siete molto attenti alla situazione di un altro popolo indigeno, il popolo Mapuche. I media mainstream non ci raccontano quasi nulla al riguardo. Puoi dirci qualcosa?
Il conflitto Mapuche è un conflitto nascosto, perché le politiche di sterminio si sono sempre fatte l’ombra cercando di tenere tutti all’oscuro. La società cilena, o per lo meno una grande parte di essa, è di un razzismo atroce. Disgraziatamente in Cile si è imposto il peggio del discorso della ultra destra fascista. Da qui l’odio verso il povero, verso i mapuche, un popolo che rappresenta dei valori che secondo il potere devono essere eliminati. Ma resistono, insieme a una parte della società, la minoranza, che ha ancora memoria.
Sei molto attivo sui social parlando soprattutto di politica. Pensi d’essere in qualche modo un “influencer”? Questa attività come viene accolta da chi ti conosce come romanziere?
Un influencer? No, in assoluto. Faccio conoscere la mia opinione, i miei punti di vista, che sono condivisi per la maggior parte dei miei lettori. Non ho mai nascosto ciò che sono e ciò che penso.
Immagini giornate senza scrivere?
Sì e no. A volte mi piacerebbe dedicarmi a leggere, ad ascoltare musica, guardare film, occuparmi di un piccolo orto, ma la tentazione di scrivere è forte e non ci posso fare nulla.
Cosa ti piace leggere?
Di tutto e in modo caotico, molto caotico.
Dopo il tuo romanzo “La fine della Storia” é arrivata “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa”. Ci puoi anticipare se stai lavorando a qualcosa di nuovo e di cosa si tratta?
Lavoro tutti i giorni. Ora sto finendo un romanzo che ha come protagonista Belmonte, lo stesso di “Un nome da Torero” e “La fine della Storia”. Lavoro a diversi progetti contemporaneamente e a seconda di come si sviluppano, dopo un certo tempo diventano un libro. Lavoro perché mi piace ciò che faccio, mi piace il mio lavoro.
Sei tradotto in moltissime lingue, dal cinese al greco passando per il turco e lingue slave, ecc. Immagino che sia una soddisfazione essere letto da culture così diverse.
È una enorme soddisfazione. A volte guardo il muro dove sono disposti soltanto i miei libri, nella mia biblioteca, e vedo i dorsi in tante lingue diverse. E dopo aver mormorato “quello sono io ed è ciò che ho fatto”, mi sento bene, soddisfatto con la vita e i suoi risultati.
Hai appeno compiuto 70 anni, come hai festeggiato?
Con la mia famiglia, i miei figli, nipoti, nuore, generi. Dopo con gli amici più vicini. E ci sono anche delle feste programmate a Milano, Parigi e Lisbona. Ci sono volte in cui bisogna mettere il fegato a disposizione degli amici.
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L’intervista di Gabriela Pereyra a Luis Sepúlveda è stata pubblicata su Left dell’11 ottobre 2019
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