#25 aprile: settantacinque anni dopo “Bella ciao” risuona ancora nell’aria....

Per comprendere il grande valore di questa ricorrenza i più giovani dovrebbero fare qualche chiacchierata con i loro nonni o, meglio ancora, con quei bisnonni che nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, imbracciarono le armi per liberare l’Italia da fascisti e nazisti, dando vita alla Resistenza. L’Italia si trovò spaccata in due: al Sud le truppe anglo-americane che liberavano dai fascisti e dalle milizie tedesche l’Italia meridionale; al Nord, la Repubblica Sociale, fondata da Benito Mussolini, per governare i territori ancora sotto il dominio tedesco. Durante questo grande sacrificio di vite umane, molti italiani decisero di contrapporsi agli orrori nazisti diventando partigiani. Si trattava per lo più di gente comune: giovani studenti, operai, contadini, preti, persone che si organizzarono nel movimento di Resistenza per la Liberazione dagli “invasori”. Nel 1945, a metà aprile, i partigiani proclamarono l’insurrezione generale e cominciarono una serie di attacchi per liberare le maggiori città italiane. I combattimenti proseguirono fino ai primi giorni di maggio, la festa della Liberazione si celebra tuttavia il 25 aprile, in memoria del giorno in cui partì l’appello per l’insurrezione armata della città di Milano, sede del comando partigiano, che poi portò proprio alla liberazione delle due città più grandi del Nord, Milano e Torino.

Le rappresaglie tedesche furono brutali e spietate: 335 civili (tra cui donne e bambini) furono massacrati a Roma nella strage delle Fosse Ardeatine e 1.830 vittime (tra cui donne e bambini) si contarono nella strage di Marzabotto, nei pressi di Bologna. Alla fine le vittime della rappresaglia nazista furono più di 23mila in circa 5.550 episodi criminali, compresi nell’arco cronologico che va dal luglio del 1943 al maggio del 1945. Fu una lunga e cruenta lotta: da un lato, la dittatura nazi-fascista, cioè il potere, con violenza e arbitrio come unica legge; dall’altro, i movimenti antifascisti che agognavano un’Italia libera e democratica.

Nel settantacinquesimo anniversario della Liberazione credo abbiamo bisogno, più che mai, di rimarcare l’importanza delle nostre libertà e di tornare a guardare al futuro con fiducia e spirito di unità e solidarietà. È il giorno in cui l’Italia celebra il ritorno alla democrazia. Sono convinto – a proposito dell’ultima polemica sul celebrare questa data come quella che ricordi tutte le vittime del coronavirus – che il 25 aprile sia già da quest’anno la data in cui ricorderemo anche i caduti di questa terribile epidemia. Dirò di più. Quando usciremo da questa terribile pandemia, dedicare una giornata di ricordo per queste vittime sarà un ottimo proposito. Non sarà e non potrà mai essere il 25 aprile perché in questa data si ricorderà per sempre la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista e dalla guerra. Il 25 aprile, “Bella Ciao” risuonerà ancora nell’aria, e così come si contrappose al virus del fascismo e del nazismo si contrapporrà idealmente anche a quello del Covid-19.

Mi piacerebbe molto che assieme al mio pensiero i giovani riflettessero anche su ciò che disse molti anni fa Piero Calamandrei. «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, oh giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione». Sbaglia ed è in malafede chi afferma che la Resistenza sia stata una lotta sanguinaria di tipo militare. Fu, al contrario, un moto di riconquista civile e di speranza. Oggi più che mai sono convinto che la Resistenza non sia ancora finita. Occorre che essa continui e cammini con le gambe dei più giovani. Non è così difficile determinarne i suoi nuovi obiettivi.

Primo fra tutti, quello di tramandare proprio ai più giovani la memoria. Quanti di loro sanno chi furono i fratelli Cervi? Quanti sanno chi erano Felicetto Dominici, Ubaldo Marchioni, Livio Sandini o Ughetto Forno? Quanti sanno il nome di quel ragazzo che prima di essere fucilato dai tedeschi va verso un soldato che formava il plotone d’esecuzione e lo abbraccia dicendogli: “Muoio anche per la tua libertà”. Temo siano in pochi a saperlo! Non per colpa loro, ma probabilmente perché studiano quella parte di storia che esclude gli avvenimenti del fascismo e dimentica completamente la Resistenza. Di conseguenza affermo con forza che devono essere proprio i docenti, i nuovi divulgatori della Resistenza e devono aiutare i giovani, che saranno i governanti di domani, a diventare una nuova classe dirigente, consapevole del passato e custode dei valori che questa ha lasciato alle future generazioni. La Resistenza non appartiene a nessuno è di tutti gli italiani ed è un invito al dialogo e al confronto costruttivo per parlarsi e rispettarsi. C’è ancora molto da fare ma come diceva qualcuno più importante di me: “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”.

Vincenzo Musacchio, giurista, docente di diritto penale, dal 2018 associato della School of Public Affairs and Administration (Spaa) presso la Rutgers University di Newark (USA), Presidente dell’ Osservatorio Antimafia del Molise e Direttore Scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.