Ci sono amori bloccati dalla pandemia. Gli affetti hanno abbassato la serranda con l’inizio della quarantena, come le fabbriche e i negozi, ma il prodotto interno lordo sentimentale non rientra nelle statistiche e non produce fatturato quindi solitamente finisce nell’angolo dei buoni sentimenti di cui non ci si può mica occupare, figurarsi in piena pandemia.
Eppure nel nuovo decreto del Consiglio dei ministri che entrerà in vigore dal prossimo 4 maggio, tra le poche novità, c’è subito quell’articolo 1 che merita una certa attenzione: chi sono i congiunti che si potrà andare a visitare con tutti i dispositivi di sicurezza?
Ma chi sono i congiunti? Madre, padre, mogli e figli, sicuramente. Ma fino a che grado di parentela? Gli zii? E soprattutto: siamo davvero sicuri, nel 2020, che siano affetti solo i legami di sangue certificati da uno stato di famiglia?
Il governo per pomeriggio ha provato a chiarire: «Per congiunti si intendono “parenti e affini, coniuge, conviventi, fidanzati stabili, affetti stabili”», dice in una nota. E che diamine sono i fidanzati stabili? Come si verifica che un fidanzato sia stabile?
Chi ha una compagna o un compagno, non certificato da un matrimonio, è un’ombra di cui non occuparsi? Chi è stato cresciuto da una famiglia con cui non condivide il sangue è solo una sventurata eccezione di legge? Chi non ha famiglia perché l’ha persa ed è stato salvato da qualcuno che oggi per legge è solo un estraneo da non meritare comprovate necessità è poca roba?
Ma non è tutto. Ieri mi ha scritto una bellissima lettera un padre separato: «Non vedo i miei figli da fine febbraio, e dispero che li possa vedere in un prossimo futuro. Io sono residente nel Lazio, loro in Lombardia, i miei rapporti con la madre sono più che civili, cordiali, tanto che più di una volta ho dormito “sotto lo stesso tetto”, senza problemi, e in questa emergenza, mi ospiterebbe senza troppi patemi. Bene, ci si può muovere da una regione ad un’altra solo per comprovate esigenze lavorative o di salute, io non posso millantare nessuna di queste fondamentali esigenze dell’essere umano, posso semmai solo accennare a comprovate esigenze affettive, ma non bastano, e del resto, nessuno ci sta pensando. Non è per dire, non mi sento abbandonato, fuggo dal vittimismo sempre, ma sono comunque tanto sorpreso, ovvio amaramente sorpreso. Certo, sono conscio che il mio caso sia assolutamente minoritario, e quindi, non degno di nota, però questa distanza mi fa male, mi fa male vedere la delusione sulla faccia dei miei figli in video chiamata, mi fa male non poterli abbracciare e mangiarmeli di baci. Ve bene, il benaltrismo, di cui talvolta siamo tutti propugnatori consapevoli, e a seconda dei cas di convenienza, mi imporrebbe di bollare la cheesecake che mia figlia mi ha promesso per celebrare il nostro incontro, come una inutile facezia sentimentale, ma per quell’oggetto dalla futilità apparente passa il filo rosso della mia esistenza. Lo guardo quel filo è reciso, e mi dico con tutta la consapevolezza di cui sono capace “questo non è campare!».
È solo una storia tra migliaia ma contiene tutto. Serve una certificazione per dire che si ama? Per rivendicare la libertà di culto affettivo serve una conferenza episcopale dei sentimenti che faccia pressioni sul governo?
Qualcuno dice che “si fa così per evitare che tutti vadano in giro” ma la politica ha il dovere di governare (meglio, garantire) anche gli affetti? Sì, credo di sì. E credo che il paternalismo ottocentesco non sia una buona soluzione, no. Dietro alle parole dei decreti ci sono le persone, scrivere congiunti e aggiungere poi affetti stabili è perlomeno una superficiale distrazione.
Buon martedì.