Molti dei braccianti sfruttati direttamente interessati dalla regolarizzazione e chiunque lotti davvero al loro fianco sa benissimo che la sanatoria prevista nel decreto Rilancio è un orrore, una misura dettata dalle imprese che risponde alla logica del profitto e non guarda al benessere delle persone coinvolte dalla misura. E ciò nonostante, si tratta di una norma strategicamente necessaria, che può dare una piccola e temporanea boccata d’aria a tanti lavoratori e lavoratrici, e permettere loro di rafforzare le proprie rivendicazioni.
Braccianti, movimenti, associazioni e cittadini di sinistra chiedono da tempo la revisione della Bossi-Fini, lo stralcio dei decreti Minniti-Orlando e Salvini, una vera sanatoria per tutti i sans papier che metta al centro il diritto all’esistenza delle persone. Nessuna di queste misure era stata presa in considerazione al momento da questo governo.
All’improvviso, però, è arrivato il virus, che ha privato le campagne delle braccia indispensabili per compiere le raccolte stagionali di frutta e verdura. Così su fortissima spinta delle aziende agricole, alla disperata ricerca di manodopera, è stata predisposta una regolarizzazione a tempo, di sei mesi, e solo per chi è utile alla ripartenza del sistema economico, colf e braccianti.
Inoltre, nell’ultima bozza di decreto (che ancora deve essere pubblicato in Gazzetta) si dice anche che i lavoratori stranieri che hanno un titolo di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 o in scadenza possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo di ricerca lavoro valido sei mesi ma per farlo debbano dimostrare di «aver svolto attività di lavoro, nei settori di cui al comma 3 (ossia agricoltura o lavoro di cura, colf e badanti, ndr), antecedentemente al 31 ottobre 2019». Le modalità con cui si dovrà certificare la cosa saranno esplicitate in un successivo decreto del Viminale.
Siamo all’assurdo. Cioè, se ho sempre raccolto pomodori in nero, magari perché l’azienda in cui opero si è sempre mossa nell’illegalità, come faccio a dimostrare di aver lavorato in quello stesso ambito prima dello scorso ottobre? Di certo non con la copia di un contratto. Saranno ammesse come autocertificazioni anche un biglietto con sopra le ore lavorate segnate con la biro, oppure una foto del pulmino scassato con cui il bracciante veniva reclutato dai caporali? E ancora, la misura costerebbe al lavoratore straniero 160 euro, altra richiesta che per chi vive nei ghetti e viene pagato tre euro a cassone non può che suonare come un insulto.
Inoltre, come molti militanti hanno ripetuto in ogni modo prima dell’approvazione di questa mini manovra, se si fosse voluto far emergere davvero tutti i sans papier dalla loro condizione di invisibilità, sarebbe bastato concedere loro un permesso di ricerca lavoro di un anno senza condizionalità, Adif e Asgi avevano predisposto bozze di testi di legge all’incirca con questo indirizzo. Ma li si è ignorati. Così come si è chiuso gli occhi di nuovo verso una filiera dell’agroalimentare malata, del tutto sbilanciata verso la distribuzione, capace in troppe occasioni di dettare regole e prezzi inaccettabili a chi coltiva e raccoglie frutta e verdura.
Per questo motivo i peana a favore di questa misura “di umanità” farebbero sorridere se non facessero ahimé piangere, visto che stiamo parlando della vita di migliaia di persone. Trattate come ingranaggi utili per il sistema produttivo, da buttare via non appena la loro necessità viene meno. Ora abbiamo un piccolo cerotto che può lenire qualche ferita. Ma è importante che nessuno a sinistra osi ritenersi soddisfatto, magari crogiolandosi nel tepore di un riconoscimento delle proprie istanze da parte del governo che non è mai avvenuto. La lotta è appena iniziata e deve ripartire da qui.
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