Questa crisi sanitaria ci renderà migliori dicevano.
Il virus elimina le differenze, sociali ed economiche, colpisce tutti.
Purtroppo spesso la drammaticità delle situazioni aumenta il ricorso alla retorica, specie nel mondo politico e dell’informazione, e la retorica non sempre è amica della verità.
Di queste belle dichiarazioni di intenti infatti, a due mesi giusti dall’ingresso nel lockdown totale, è rimasto ben poco. Abbiamo vissuto tante situazioni strane, tante difficoltà, siamo stati abili a superarle e a fare di necessità virtù, soprattutto al Sud, ma di quelle dichiarazioni di intenti è rimasto ben poco.
Il virus spesso non ci ha reso persone migliori, anzi, se possibile, ha reso più evidenti i limiti delle persone.
Il virus non ha livellato le differenze, anzi se possibile, laddove quelle differenze c’erano le ha amplificate e trasformate in strumento di morte e sofferenza. Certo in questo periodo siamo stati in grado di dare belle prove di resilienza e responsabilità civile, ma se siamo chiamati a un discorso “politico”, a fornire dunque una visione complessiva della realtà, non possiamo limitarci al particolare, che magari, potrà anche essere consolatorio e gratificante.
Così come esaltare il senso civico di tanti cittadini meridionali, bravi a salvarsi dal virus grazie alla loro condotta ligia, non deve farci dimenticare il vero motivo dell’allarmismo, il motivo per cui è stato necessario dover attuare restrizioni sproporzionate all’effettiva diffusione del Covid-19 e cioè l’intrinseca debolezza di un sistema sanitario per nulla attrezzato rispetto a quelli settentrionali, così non possiamo accontentarci delle belle prove di solidarietà della società civile per ritenere la nostra un società davvero “civile”, perdonate il gioco di parole. La solidarietà ci commuove, ma non risolverà i problemi di una società imperfetta.
In un momento di grandissima difficoltà, laddove l’aiuto dello Stato avrebbe dovuto essere decisivo per salvare vite umane, sprofondate d’improvviso in un abisso di povertà, lo Stato ha continuato a “fare differenze”. Cassa Integrazione, buoni spesa, finanziamenti… non abbiamo salvato tutti coloro che erano in difficoltà economica, ma abbiamo scelto di salvare quelli che erano conformi alla nostra burocrazia. Gli altri: esclusi! Li abbiamo chiamati invisibili, anche se li vedevamo benissimo e sapevamo dove abitavano, cosa facevano prima della pandemia, come l’Italia visibile li sfruttava. Migranti, extracomunitari, persone di colore…perché c’è sempre bisogno dell’aggettivo. Non ci è bastato definirli persone e basta, nemmeno mentre eravamo sotto la tagliola del Covid -19. E le frizioni a cui abbiamo assistito sulla sanatoria proposta dalla ministra Bellanova per i braccianti extra-comunitari, sono la metafora perfetta, la rappresentazione plastica più aderente ad un pensiero astratto, ma molto molto radicato.
Insomma se la pandemia doveva essere il momento della verità per avviare finalmente riflessioni profonde e ristrutturare il nostro sistema-Paese dalle fondamenta, visto il fallimento del modello privatistico della vita (dalla sanità alla prevenzione sociale, cioè la capacità dello stato di monitorare e intervenire velocemente sul tessuto sociale) le speranze ad oggi sembrano tutte disattese, in barba per l’ennesima volta al dettato costituzionale. Addirittura molti esponenti, sia dai banchi del governo che dell’opposizione, mortificano ogni ragionamento strizzando l’occhio al peggior caporalato. Insomma non è cambiato niente? Certamente constatiamo in questi episodi l’assenza della politica e la sua sostituzione con il marketing elettorale. Signori deputati, signori ministri, signori segretari, mi spiace doverlo ribadire, ma sono due cose diverse e finchè non la smetteremo di usare sempre e solo il secondo, non riusciremo mai a fare progressi veri.
Il virus non ci ha reso persone migliori e non è stato in grado, nemmeno lui, che ha fermato il capitalismo di tutto il mondo per la prima volta nella storia, di eliminare le differenze in Italia.