Non solo in agricoltura e non solo al sud. Il caporalato è molto diffuso anche in Toscana nel settore del tessile e dell’abbigliamento. E poi ci sono le organizzazioni criminali che gestiscono la cosiddetta tratta delle colf e delle badanti straniere. L’allarme della Cgil

Quando si pensa al caporalato, spesso si commettono due errori di fondo: si suppone che la sua presenza sia limitata alle regioni meridionali e che riguardi esclusivamente il settore agricolo. Sono tanti i segnali che indicano come questa rappresentazione del fenomeno sia ormai inadeguata, a partire dagli innumerevoli episodi di cronaca, dalle inchieste e dalle mobilitazioni sindacali che testimoniano la diffusione del caporalato e di forme di grave sfruttamento lavorativo in tutta Italia e in vari comparti produttivi.

In Toscana, negli ultimi anni, alcuni studi mostrano la compresenza di diverse tipologie di intermediazione illegale e di sfruttamento. A un estremo, si colloca una tipologia di caporalato, riconducibile a reti criminali organizzate, nella quale gli sfruttatori controllano reclutamento, trasporto, organizzazione della forza-lavoro, e a volte fornitura dell’alloggio e controllo sulle condizioni di vita. Si tratta di reti di sfruttamento perlopiù organizzate su base nazionale e/o etnica, attive nel settore agricolo del Chianti fiorentino, del Senese e del Grossetano. Le ragioni sociali attraverso le quali questa tipologia di caporalato operano sono S.a.s. (Società in accomandita semplice), cooperative spurie e società senza terra. Proprio l’apparente legalità che lo caratterizza, rende questo modello di sfruttamento molto insidioso. Per la quantità di lavoratori reclutati, per il raggio d’azione della rete di sfruttamento – capace di movimentare ogni giorno, in modo efficiente, squadre di braccianti su più province – e per le forme di abuso subite dalla manodopera, che includono minacce e violenza, lo sfruttamento qui sembra consustanziale all’attività di intermediazione illegale.

All’estremo opposto, abbiamo una tipologia di sfruttamento informale, su scala locale, attivata da singoli intermediari che gestiscono, dietro compenso, il reclutamento e la messa a disposizione di forza-lavoro a famiglie e piccole aziende per il lavoro domestico e di cura, per le pulizie e per altri servizi. In questo caso, il fenomeno è poco strutturato e i caporali sono in prevalenza migranti con una lunga anzianità di soggiorno sul territorio, che mettono a profitto, in modo illegale, le loro reti sociali.
Uno dei principali bacini di grave sfruttamento lavorativo nell’area metropolitana che comprende le province di Firenze, Prato e Pistoia riguarda il distretto del tessile e dell’abbigliamento. In seguito al tragico rogo del 2013 di un’azienda a Prato, nel quale morirono sette operai e operaie cinesi rimasti intrappolati all’interno dei locali, sono stati attivati alcuni progetti di contrasto allo sfruttamento lavorativo. La Regione Toscana ha…

Andrea Cagioni è un operatore e ricercatore sociale a Firenze

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