Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad una sceneggiata poco edificante.
Pur di costringere a votare nello stesso giorno per le elezioni regionali, per quelle dei Comuni e per il referendum costituzionale sul taglio del Parlamento se ne sono viste di tutti i colori. Le Regioni sono in rivolta contro questa costrizione che nega la loro autonomia decisionale prevista dagli Statuti, Fratelli d’Italia ha organizzato l’ostruzionismo alla Camera sul decreto che fissa la data delle elezioni, la coalizione che sostiene il governo Conte 2 è stata spinta dal M5s a insistere sulla giornata unica per il voto, individuata nel 20/21 settembre. Tutto si può cambiare tranne questo.
La sostanza è che il referendum costituzionale non sembra in grado di trascinare i cittadini a votare per il taglio dei parlamentari, obiettivo di cui il M5s ha fatto una bandiera nella speranza di risalire nei sondaggi, senza prestare attenzione alle conseguenze. Per porre riparo non si è trovato di meglio che tentare di arrivare ad un’unica giornata per votare per le Regioni, per i Comuni, per il taglio dei parlamentari, forzando la legge in vigore che non prevede la possibilità di accorpare le modifiche della Costituzione con altri appuntamenti elettorali. Per questo si punta ad approvare una norma di legge che cambi le regole in vigore.
La responsabilità del M5s è evidente, pur di arrivare a tagliare i parlamentari è pronto a forzare, prima imponendo alla nuova maggioranza parlamentare di votare la modifica costituzionale (un grave errore perché la Costituzione non dovrebbe mai essere sacrificata ad un accordo politico di governo), poi puntando all’election day da quando è apparso chiaro che tra gli elettori non c’è lo stesso entusiasmo che sembra esserci nel gruppo dirigente del M5s, con l’obiettivo di tentare di portare a votare per il referendum gli elettori che già debbono scegliere l’amministrazione regionale e quella comunale. Le motivazioni sui rischi di svolgere elezioni in questo periodo appaiono e scompaiono a seconda della convenienza del momento. Infatti tra settembre e ottobre non è possibile stabilire per ora una differenza e nessun esperto può assicurare che un periodo sarà meglio dell’altro. Possiamo solo augurarci che la pandemia non ritorni. Inoltre si potrebbero individuare altre sedi istituzionali diverse dalle scuole in cui esercitare il diritto di voto, diminuendo di molto se non azzerando l’interferenza con l’anno scolastico.
Quindi la giornata unica per il voto non ha reali motivazioni se non l’interesse di una parte, in questo caso il M5s, a trarre un presunto vantaggio da un maggiore afflusso elettorale, evitando una partecipazione al voto molto ridotta sul taglio del Parlamento e quindi un sostanziale fallimento politico di questa modifica della Costituzione. Al punto in cui siamo conviene avviare la campagna elettorale per il No sul taglio del Parlamento, pur nelle condizioni difficili che si prospettano. Infatti la campagna elettorale risentirà pesantemente delle conseguenze della forzata chiusura in casa nel periodo acuto della pandemia, del periodo agostano, della presenza contemporanea di altri appuntamenti elettorali che potrebbero mettere in ombra le modifiche della Costituzione.
Eppure proprio chi ha voluto arrivare a questo taglio del Parlamento aveva attribuito un significato simbolico, di svolta, a questa scelta. Ci si poteva aspettare un comportamento coerente ma così non è stato e alla fine l’importante sembra imporre la scelta con ogni mezzo. Questo impone una campagna elettorale netta, senza risparmio, capace di mettere in luce le responsabilità, i comportamenti opportunisti che hanno reso possibile arrivare al taglio del Parlamento. Taglio del Parlamento le cui motivazioni restano ridicole e i presunti esigui risparmi di spesa lo confermano.
I risparmi di spesa sono tipiche motivazioni che lisciano il pelo al populismo. Mentre sarebbe indispensabile una discussione sul ruolo che dovrebbe avere il Parlamento in Italia, che è una repubblica parlamentare, fondata sul ruolo della rappresentanza.
Sostenere che il Parlamento può essere ridotto di numero, un terzo circa, senza riguardo alle conseguenze delle sue funzioni, tanto più dopo un periodo non facile come quello della pandemia, vuol dire scaricare sulla rappresentanza dei cittadini una caduta di ruolo preoccupante, che modificherà i rapporti di forza con gli altri assetti istituzionali del nostro Paese, in particolare con il ruolo del governo.
Nella fase della pandemia – in parte per ragioni oggettive, in parte per scelta politica – c’è stato un accentramento mai visto dei poteri, con un uso dilatato del Dpcm, strumento di norma limitato nel suo utilizzo perché sfugge ai controlli, in particolare del Parlamento, e di cui risponde il solo presidente del Consiglio. Ad un certo punto si è capito che occorreva non esagerare e quindi si è ricorsi ai decreti legge, che il Parlamento ha l’obbligo di esaminare e convertire entro 60 giorni, per dare un fondamento legislativo ai Dpcm. Era già eccessivo in precedenza il ruolo del governo che di fatto condiziona da tempo il ruolo e l’agenda del Parlamento con i decreti legge e i voti di fiducia a raffica. Da troppi anni il Parlamento è fortemente limitato nella sua effettiva capacità di rappresentare, cedendo buona parte di questo ruolo al governo che di rappresentanza ne ha proprio pochina, visto che il voto di fiducia verso il governo non dà presunzioni di rappresentanza, semmai di delega da parte del Parlamento.
La pandemia di coronavirus ha dato un altro colpo pesante al ruolo della rappresentanza. Anzitutto per difetti della rappresentanza stessa, i parlamentari, e questo è l’effetto di leggi elettorali che da troppi anni sottraggono agli elettori il diritto di scegliere direttamente i propri senatori e deputati. Di fatto gli eletti sono scelti dall’alto, non rispondono agli elettori da troppo tempo, perché la loro elezione non dipende da chi devono rappresentare (i cittadini) ma dai capi che decidono le liste e a cui di fatto rispondono. Perché dai capi dipende la loro elezione.
Quindi i parlamentari hanno le loro responsabilità mostrate plasticamente con la lontananza dai loro compiti per una fase. Tuttavia ai capi partito fa comodo avere questa situazione, perché questo consente loro un accentramento formidabile del potere di scelta, al punto che il nostro sistema parlamentare oggi è fortemente modificato da questa situazione. Questo ha radici più antiche. Si può dire che è iniziato quando è stato consentito di mettere il nome del candidato presidente del Consiglio sulla scheda elettorale, iniziato da Berlusconi senza trovare una vera resistenza e proseguito in altri settori politici, sinistra compresa. Questo ha avviato una fase di accentramento delle decisioni e un disequilibrio nei poteri che da tempo non trova soluzione, perché restiamo una Repubblica parlamentare che però usa strumenti che non sono propri di questa forma istituzionale, fortemente personalizzati, e questo crea una situazione anomala e squilibrata.
Tuttavia alcuni scelgono di spingere in questa direzione perché sono convinti che prima o poi l’Italia abbandonerà la forma della Repubblica parlamentare. Del resto in settori politici disparati, non da oggi, ci sono tentazioni presidenzialiste, che per alcuni a destra sono una scelta di modifica più di fondo della nostra Costituzione e che per altri – democratici e di sinistra – rappresenta un’evoluzione di minore impatto, sottovalutando che ci potrebbe essere uno slittamento verso una repubblica presidenziale vera e propria. Ci sono percorsi che quando iniziano rischiano di prendere la mano e il taglio dei parlamentari va esattamente in questa direzione: indebolirebbe il ruolo del Parlamento, che resterebbe sotto botta per molto tempo. Infatti parlare di taglio dei parlamentari e di rilancio del Parlamento è come pretendere di bombardare un edificio per ristrutturarlo, è evidente che verrà raso al suolo. Il taglio dei parlamentari è un modo per ridimensionare strutturalmente il ruolo del Parlamento e questo per alcuni è la premessa per cambiare sistema istituzionale.
Quindi il taglio del Parlamento è un atto da apprendisti stregoni, con risultati finali che potrebbero prendere loro la mano e finire con un rattrappimento della democrazia italiana. Ci potevano essere altre scelte ma la demagogia populista non ha sentito ragioni e i confronti sono sempre stati finti, in realtà la discussione doveva solo confermare l’assunto iniziale.
In gioco ci sono da un lato la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo, che è certamente avanzata e socialmente fondata su valori e diritti dei cittadini, dall’altra ci sono i rischi derivanti da modifiche poco meditate e ancor meno controllabili nell’approdo finale. Questa è la vera responsabilità dei partiti della maggioranza che governano col M5s e che hanno capovolto la propria posizione parlamentare, ma anche dell’opposizione che aveva votato con la maggioranza del Conte 1 questa modifica. Questo comportamento è censurabile perché mette la Costituzione e le sue modifiche sullo stesso piano di scelte politiche contingenti come può essere un programma di governo e questo opportunismo politico è stato comune sia con il Conte 1 che con il Conte 2, arrivando a votare un taglio dei parlamentari che in realtà non convince neppure chi l’ha votato solo perché temeva di mettersi contro un’opinione pubblica considerata a favore di questa scelta, con un comportamento opportunista.
In realtà questa scelta era contrastabile e anche il M5s poteva essere costretto a prendere atto che il suo orientamento era un errore, per altri argomenti è stato fatto, in questo caso no, la differenza sta tutta nel grumo di interessi che hanno portato a resistere in alcuni casi e a mollare sul taglio del Parlamento. La campagna elettorale sarà Costituzione contro populismo e opportunismo.
Alfiero Grandi, vice presidente del Comitato per il No al taglio dei parlamentari promosso dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale, è autore del libro di Left La democrazia non è scontata. No al taglio dei parlamentari pubblicato nel mese di marzo 2020
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