Una eventuale proroga, in assenza di un reale evento calamitoso, se approvata dal Parlamento sarebbe un precedente pericoloso. Cosa potrebbe accadere nel momento in cui al governo dovessero andare persone con mire di "pieni poteri"?

Se una persona saggia ed equilibrata come il professor Sabino Cassese afferma che con un nuovo stato d’emergenza rischiamo di allevare nuovi Orban, allora, c’è da riflettere con serietà e senso di responsabilità. La storia ci racconta che la nostra Repubblica ha vissuto stagioni di grandi crisi – ad esempio, quella della lotta al terrorismo – senza mai sospendere i principi fondamentali della Carta costituzionale, ma adeguandoli a criteri di momentanea necessità, proporzionalità e urgenza. Se bastasse il timore o la probabilità di un evento calamitoso per sospendere l’ordine costituzionale si aprirebbero scenari a dir pericolosissimi. Mancando il presupposto giuridico ed empirico della proroga emergenziale, il presidente del Consiglio, di fatto, surrogherebbe, con maggior veemenza rispetto ai suoi precedenti provvedimenti, i poteri che spettano al Parlamento, soffocandone così gli ultimi respiri vitali.

Condivido in toto il pensiero del professor Cassese: «Perché prorogare lo stato di eccezione, se è possibile domani, qualora se ne verificasse la necessità, riunire il Consiglio dei ministri e decidere?». La proroga in assenza di reale emergenza rischia l’accentramento di un potere extra ordinem nelle mani di un solo individuo che oggi magari è illuminato, ma domani, qualora non lo fosse più, cosa potrebbe accadere? Una confluenza eccessiva di poteri e funzioni in un singolo organo, di fatto, annulla l’organo democratico per eccellenza: il Parlamento e rischia di far diventare l’eccezione, la regola. Nei grandi momenti di crisi, le istituzioni democratiche non possono non far riferimento alla Costituzione, nella quale non c’è spazio per leggi extra ordinem.

Le grandi emergenze si contrastano non accentrando il potere ma rafforzando la collaborazione fra i vari organi istituzionali, primo fra tutti il Parlamento. Più volte la Consulta ha rimarcato con forza la necessaria brevità degli strumenti derogatori, giacché non è fisiologico governare con mezzi eccezionali in una democrazia parlamentare. Queste eccezioni a nostro parere ledono l’equilibrio dei poteri, oscurando il Parlamento, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, al cui controllo sono sottratti guarda caso proprio gli atti dettati dall’emergenza.

Credo sia opportuno ripristinare la normalità dei rapporti tra governo e Parlamento dando priorità a quest’ultimo nei casi di emergenza e di crisi che coinvolgano tutti i cittadini italiani. Non creiamo precedenti pericolosi di cui pentirsi in futuro quando al governo del Paese potrebbero esserci persone meno responsabili e meno affidabili. L’Italia in questo momento ha bisogno di verità e di legalità, nel rispetto pieno e totale delle regole della democrazia rappresentativa. Ha ragione la presidente della Corte costituzionale quando dice che la Costituzione offre la bussola anche per «navigare per l’alto mare aperto» nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini.

Evidenziati i rischi cui potremmo andare incontro, dobbiamo chiederci: siamo ancora una democrazia parlamentare, pluralistica e solidaristico sociale o non più? Se la risposta fosse affermativa, allora, quando sono in gioco diritti e libertà fondamentali, è lo Stato che deve decidere, con provvedimenti concordati, discussi, costruiti insieme anche alle autorità locali, ma dentro una cornice che non può essere lasciata all’iniziativa unilaterale dei presidenti di Regione e tanto meno del solo presidente del Consiglio. In una democrazia come la nostra, è lapalissiano che simili misure debbano essere adottate dal legislatore, direttamente o con quelle procedure in cui l’intervento del governo passa comunque attraverso il controllo e l’azione di collegamento del Parlamento (procedure attuate in Francia, in Germania e in altri Paesi che si professano democrazie avanzate come dovrebbe essere la nostra).


* Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers institute on Anti-corruption studies (Riacs) di Newark (Usa). È ricercatore dell’Alta scuola di Studi strategici sulla criminalità organizzata del Royal united services institute di Londra. È stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Per approfondire, vi invitiamo a leggere il nostro libro ITALIA FASE 3

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