Esperti militari hanno affermato che le catastrofiche esplosioni di martedì 3 agosto 2020 a Beirut fanno comprendere le ragioni per cui gli Stati Uniti, l’Unifil e le Nazioni Unite avevano ripetutamente chiesto il monitoraggio e la protezione della costa libanese, e perché «Hezbollah stava spedendo le sue armi via mare e non via terra», come è stato riferito dal quotidiano al-Joumhouria. Fatto sta che il volto di Beirut oggi è totalmente devastato: edifici storici, bar alla moda e gallerie d’arte sono stati tutti sventrati. Il vivace quartiere di Mar Mikhail, una volta una delle gemme di Beirut, vitale centro della vita notturna è stato tra le aree più colpite ed è ora una terra desolata di vetri rotti e auto distrutte. «Mar Mikhail era il cuore pulsante di Beiru – ha detto Lina Daoud, una volontaria di 45 anni che distribuisce cibo e acqua -. Ora, mi sento come se stessi entrando in un posto sconosciuto. Non avrei mai pensato che sarebbe venuto un giorno … quando avrei visto Mar Mikhail in questo modo».
Le persone che hanno perso la vita, mentre scriviamo, sono almeno 135, centinaia i dispersi e almeno 5000 i feriti. Tra le vittime dell’esplosione c’è anche un uomo australiano e numerosi sono i cittadini stranieri rimasti feriti, tra cui 21 marinai del Bangladesh, almeno 21 francesi, un indonesiano e un italiano e un belga. Le ambasciate australiana e tedesca e belga sono state danneggiate. La procura di Parigi ha aperto un’indagine sull’esplosione, come è consuetudine quando i cittadini francesi vengono feriti all’estero. L’esplosione di martedì è arrivata al culmine di una spirale in cui si sono connesse la crisi economica e l’aggravamento prodotto dal blocco derivante dal coronavirus, che ha aggiunto un danno di circa 3 miliardi di dollari al pesante fardello che grava sul piccolo Paese mediterraneo. Secondo il governatore di Beirut l’esplosione ha reso quasi 300mila persone senza casa. Intanto mi giungono notizie di tante persone che, trascinando pesanti valige, intraprendono una strada dura, unendosi all’esodo di un quartiere reso quasi inabitabile. Le persone camminano per la strada non sanno dove guardare: alla devastazione totale intorno a loro, o in alto, dove le stalattiti affilate di vetri rotti minacciavano di rompersi in qualsiasi momento.
«Sembra la seconda guerra mondiale», racconta un passante, esaminando i danni. Mar Mikhael è storicamente un distretto armeno e molti sono gli armeni che hanno trovato la morte martedì, fra queste l’infermiera Jessica Beckjian, morta sotto le macerie del suo ufficio presso il Saint George Medical Center, gravemente danneggiato, vicino al porto. Alcuni esperti militari, che hanno parlato chiedendo l’anonimato in quanto non autorizzati a fare commenti ai media, hanno detto che «l’esplosione è stata il risultato di un attacco aereo». Alcuni testimoni hanno dichiarato inoltre di avere visto un aereo sorvolare Beirut e che molto probabilmente c’è stato un bombardamento nel luogo dell’esplosione. Gli esperti hanno confermato inoltre che l’esplosione «non è stata un’esplosione di polvere, ma piuttosto un’esplosione rossa con scintillii scoppiettanti provenienti da esplosivi». A loro avviso tali esplosioni «provengono da teste di missili o materiali esplosivi posti nelle teste di missili» e potrebbero essere state «lanciate dal mare in modo che la Siria non le potesse intercettare».
L’esperto chimico Elie Haddad, ha riferito sempre ad al-Joumhouria che il fumo dell’esplosione «assomiglia al fumo di acido nitrico che proviene da esplosivi o a sostanze utilizzate dai militari; questo dimostrerebbe che il materiale appartiene a sostanze militari». Gli ex primi ministri Saad Hariri, Najib Miqati, Fouad Saniora e Tammam Salam hanno chiesto mercoledì di incaricare un comitato internazionale o arabo (Onu o Lega Araba, ndr) di indagine per fare luce sulla dinamica di quanto accaduto e chiedono di preservare la “scena del crimine”, prima che venga manomessa. «La ferma città di Beirut che ha sofferto per oltre quattro decenni a causa di infinite catene di distruzione e abusi – hanno aggiunto – è stata colpita da una catastrofe, che avrebbe potuto essere evitata se non fosse stato per l’assenza di leadership, intuizione e volontà». «Ciò ha portato in precedenza ad un grave crollo della fiducia del popolo libanese nel governo e nel mandato presidenziale, nonché nella fiducia delle comunità arabe e internazionali» ha proseguito l’ex Primo ministro. Numerosi Paesi vicini hanno promesso nella giornata di mercoledì di volere aiutare il Libano già intrappolato in una profonda crisi economica ma anche dall’Australia all’Indonesia all’Europa e agli Stati Uniti, in molti si sono attivati immediatamente per inviare squadre di soccorso e ricerca.
Riflettendo sia sulla gravità del disastro sia sulle relazioni speciali della Francia con il suo ex protettorato, il presidente francese Emmanuel Macron è arrivato oggi in Libano. Parigi non ha perso tempo nel inviare due team di specialisti, soccorritori e forniture a Beirut già mercoledì. L’Unione europea ha attivato il suo sistema di protezione civile per radunare i lavoratori e le attrezzature di emergenza da tutto il blocco di 27 nazioni. La Commissione europea ha dichiarato che il piano sarà quello di inviare urgentemente oltre 100 pompieri con veicoli, cani da fiuto e attrezzature progettate per trovare persone intrappolate nelle aree urbane. La Repubblica ceca, la Germania, la Grecia, la Polonia e i Paesi Bassi hanno preso parte allo sforzo con altri paesi che si prevede di aderire. Il sistema di mappatura satellitare dell’UE sarà utilizzato per aiutare le autorità libanesi a stabilire l’entità del danno. Cipro, dove l’esplosione di martedì è stata avvertita a circa 120 miglia (180 chilometri) da Beirut, ha inviato personale di emergenza e cani da fiuto. Anche l’Iraq sta inviando sei camion di forniture mediche e un’équipe medica di emergenza per aiutare a rafforzare il sistema sanitario in Libano, mentre Egitto e Giordania hanno preparato ospedali da campo. Le forze di pace delle Nazioni Unite dall’Indonesia già di stanza in Libano stanno aiutando nello sforzo di evacuazione, e l’Australia ha affermato che avrebbe donato 2 milioni di dollari australiani (1,4 milioni di dollari) a sostegno umanitario.
Ma le promesse di aiuto hanno sollevato nuove domande per un Paese la cui crisi economica e politica, combinata con la corruzione endemica, ha reso i donatori cauti negli ultimi anni. La visita di Macron potrebbe portare alcuni momenti imbarazzanti. Meno di due settimane fa, il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha chiarito che la Francia, il più importante sostenitore economico di Beirut, avrebbe trattenuto il sostegno non destinato direttamente alla popolazione libanese, fino a quando «misure di riforma credibili e serie» non fossero state messe in campo. Non è chiaro se il presidente francese avrebbe aggirato la no-go zone del suo Paese e offerto qualcosa di più dell’aiuto di emergenza. Circa 11 miliardi di dollari sono stati promessi al Libano in una conferenza di Parigi del 2018, ma a condizione che vengano intraprese riforme. I lavoratori francesi inviati in Libano mercoledì includono membri di un’unità speciale addestrata per intervenire in siti industriali danneggiati. Tra i loro compiti ci sarà quello di identificare i rischi speciali derivanti dall’esplosione, ha dichiarato il portavoce della sicurezza civile nazionale Michael Bernier. L’Organizzazione mondiale della sanità sta trasportando in aereo forniture mediche in Libano per coprire fino a 1.000 interventi traumatologici e fino a 1.000 interventi chirurgici, su richiesta del ministro della sanità del Paese. Il portavoce dell’Oms Tarik Jasarevic ha dichiarato in una e-mail che le forniture sarebbero state trasportate in aereo da un “hub umanitario” a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e che sarebbero giunte già mercoledì.
Perfino il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che il suo Paese, ufficialmente in guerra con il Libano, è pronto ad offrire aiuto ai libanesi «come esseri umani per gli esseri umani». La bandiera del Libano è stata proiettata mercoledì dal municipio di Tel Aviv dopo le devastanti esplosioni di Beirut, nell’ultimo gesto di Israele verso un Paese con il quale è tecnicamente in conflitto. Dozzine di passanti israeliani in piazza Rabin, sotto il municipio, hanno acceso luci bianche, rosse e verdi delle finestre del grande edificio nel centro della città mediterranea illuminate alle 19:55. «L’umanità precede qualsiasi conflitto e il nostro cuore è con il popolo libanese sulla scia del terribile disastro che ha colpito loro», ha dichiarato il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai su Twitter.