A favore di numerose telecamere, usate dalle autorità francesi per raccogliere materiale che andrà a comporre archivi storici, è iniziato quello che gran parte dei giornali transalpini definiscono come un processo storico. Il 2 settembre si sono aperti i dibattimenti a Parigi per gli attentati contro la sede della rivista satirica Charlie Hebdo e il supermercato kosher Hyper Cacher del 7 gennaio 2015 nella capitale francese. Novanta media si sono accreditati per poter seguire il processo, tra cui ventinove stranieri, che garantiranno all’iter giuridico una risonanza internazionale. A cinque anni dai fatti, l’apertura del processo ha riaperto il dibattito sulla libertà di espressione.
La mattina del 7 gennaio 2015, i fratelli Chérif e Said Kouachi, armati di kalashnikov, si introdussero nella redazione del periodico francese. I due terroristi francesi uccisero dodici persone quella mattina, di cui otto redattori del giornale. La pubblicazione di alcune caricature del profeta Maometto aveva reso il settimanale un bersaglio dei jihadisti. L’8 gennaio, poi, un altro terrorista, Amedy Coulibaly – che era in precedenza entrato in contatto coi fratelli Kouachi – aprì il fuoco contro la polizia francese in strada, e il giorno successivo prese in ostaggio i clienti di un supermercato ebraico, l’Hyper Cacher, a Porte de Vincennes, in una zona ad est di Parigi, uccidendone cinque.
I tre autori delle stragi furono poi uccisi dalle forze speciali di polizia e gendarmeria. Sono loro, dunque, i grandi assenti di questo processo in cui quattordici persone saranno giudicate per diversi motivi: associazione a delinquere terrorista, appoggio logistico e complicità in omicidio terroristico. Un processo difficile. Le immagini e i video della sparatoria sono stati nuovamente proiettati. Sono state poi ascoltate in aula le testimonianze dei sopravvissuti alla strage, che hanno ripercorso quei momenti terribili.
In occasione dell’apertura del processo, Charlie Hebdo ha scelto di ripubblicare i disegni blasfemi, scatenando una forte reazione del mondo musulmano: in Pakistan sono scoppiate alcune manifestazioni di protesta, la Repubblica islamica dell’Iran ha condannato la nuova diffusione delle caricature bollandola come una “provocazione”, il Regno del Marocco ha deciso di vietare la pubblicazione del settimanale. Ma queste contromosse non hanno fermato il giornale. «Perché non ci inginocchieremo mai» ha affermato nel suo editoriale del 2 settembre scorso Laurent Sourisseau detto “Riss”, sopravvissuto della sparatoria e divenuto poi direttore del settimanale satirico.
Il diritto alla blasfemia in Francia esiste sin dalle leggi sulla libertà della stampa del 1881. Zineb El Rhazoui, scrittrice e giornalista di Charlie Hebdo tra il 2011 e il 2017, in un dialogo del 2015 con la direttrice di Left Simona Maggiorelli, chiarì: «Una cosa è criticare un dogma o decostruire una credenza, altra cosa è attaccare la persona. Quando critico anche aspramente l’Islam non voglio colpire le persone che si definiscono musulmane». In questo modo spiegando che il diritto alla blasfemia è la libertà di criticare la religione, e non le persone, i credenti. Al pari di quanto facciamo rispetto alle ideologie politiche, dobbiamo poter criticare e deridere la religione. Si tratta di un diritto indispensabile per permettere a ciascun cittadino di godere di una piena libertà di pensiero. Numerosi Paesi nel mondo, però, non riconoscono il diritto di blasfemia. Come l’Italia, in cui la bestemmia è considerata dall’articolo 724 del Codice penale come un illecito amministrativo: pur essendo stato depenalizzato il reato resta la possibilità di incorrere in una sanzione. A riprova di come l’Italia debba ancora lavorare molto per arrivare a garantire il pieno godimento della libertà di espressione ai propri cittadini.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente riaffermato l’importanza di questa libertà. Durante una conferenza stampa a Beirut, il primo settembre, ha dichiarato che «in Francia si possono criticare i governanti, un presidente, e si può essere blasfemi». Una libertà che, ha ribadito, è «collegata alla libertà di coscienza». Tuttavia, la società francese negli ultimi anni non sempre l’ha difesa fino in fondo. Ad inizio 2020, un’adolescente francese, Mila, ha dichiarato in una diretta Instagram: «Odio la religione, il Corano è una religione di odio. (…) La vostra religione è della merda». Le sue parole, diventate virali in rete, avevano fatto scoppiare un caso. La ministra della Giustizia francese è intervenuta sulla vicenda, affermando che: «L’offesa alla religione è ovviamente una violazione alla libertà di coscienza». Nonostante la blasfemia sia un diritto in Francia, dunque, la sua effettiva applicazione pare controversa e fragile. Un sondaggio dell’Ifop (Istituto francese dell’opinione pubblica) realizzato quest’anno dimostra che il 50% dei francesi non sono favorevoli al diritto di blasfemia.
In questo contesto, secondo il direttore “Riss” le riedizione delle vignette blasfeme di Charlie Hebdo è un modo per lottare contro «un’ideologia fascista che nutre le viscere della religione». Sul quotidiano francese Le Monde sessantanove personalità, tra cui Elisabeth Badinter, hanno detto “grazie” a Charlie Hebdo per la sua «bellissima lezione di coraggio» nella battaglia per la difesa della libertà di espressione.