«Nel 2018 stavo cercando la mia casa natale a Jaffa e così ho conosciuto la storia dei due adolescenti Shams e Subhi, in quel tragico 1948» dice la scrittrice palestinese che l’ha raccontata nel suo ultimo romanzo “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea”

È singolare e umoristico il titolo dell’ultimo libro della scrittrice e attivista palestinese Suad Amiry, Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea (Mondadori). Con lei, in Italia per il Festivaletteratura di Mantova, abbiamo parlato del romanzo, una storia d’amore tra due adolescenti segnata dalla Nakba, ma anche dell’attuale situazione della Palestina e dell’accordo tra Israele ed Emirati arabi.
Nei tuoi libri c’è spesso ironia dentro la tragedia. Come usi in questo romanzo l’arma dell’ironia?
Umorismo è per definizione qualcosa che non ha senso o non rientra nella logica. Per me l’unico modo di trattare la storia della Palestina è mostrare l’assurdità dell’occupazione israeliana. Per esempio, in questo nuovo libro c’è un capitolo intitolato “Grande crimine e piccolo crimine”. Qui c’è una scena (dalla Nakba del 1948) nella quale racconto di Israele che ha occupato la città di Jaffa e tutti i villaggi intorno. Ha cacciato la popolazione palestinese fuori dalle sue case, giardini, negozi e scuole. Mentre l’intero Paese è saccheggiato dalle milizie ebraiche, c’è chi indaga sulla macellazione di una “mucca ebrea”. La mucca è stata rubata e macellata da profughi palestinesi affamati che da settimane vivevano nei campi aspettando di tornare a casa. Quale scena è più kafkiana di questa? Ecco, questo è il mio modo di usare umorismo e ironia per far vedere l’assurdità di una situazione.

La tragedia è la Nakba e la sorte che tocca ad una città meravigliosa come Jaffa a cui dedichi pagine molto coinvolgenti. Che cosa rappresenta per te Jaffa?
In quanto figlia di una famiglia di profughi cacciata di casa nel 1948, io sono cresciuta tra Amman e Damasco. Mentre Damasco è stata per me molto accessibile e presente, Jaffa è stata una città in absentia. Un luogo che ho dovuto immaginare e ricostruire dalle storie di mio padre, a distanza. Prima della Nakba nel 1948 (quando il 90 per cento degli abitanti palestinesi è stato cacciato dalle proprie case per creare lo Stato di Israele) Jaffa era la città palestinese più grande con una popolazione di centomila abitanti. I suoi fiorenti aranceti attiravano uomini di affari da Beirut, Aleppo e dall’Egitto. Era una tipica città portuale mediterranea: vibrante, animata ed aperta a tutti, tanto da essere chiamata umm il ghareeb, “la madre degli stranieri”. Jaffa rappresentava la…

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La scrittrice Suad Amiry parteciperà al Falastin festival, promosso dalla comunità palestinese di Roma e del Lazio in programma dall’1 al 4 ottobre dalle 17 presso i Giardini del Verano in Piazzale del Verano a Roma

L’articolo prosegue su Left del 25 settembre – 1 ottobre 2020

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