Lo scrittore Ben Fountain è un profondo conoscitore della politica del suo Paese. Con lui facciamo il bilancio della presidenza Trump. «Questi quattro anni - dice - hanno influenzato l’equilibrio interno Usa, evidenziando problemi profondi come misoginia e razzismo»

Nel suo saggio America brucia ancora uscito in Italia per Minimum fax, Ben Fountain analizza le elezioni del 2016 identificandole come un momento chiave della storia statunitense. Non si è trattata di una sfida normale, Democratici contro Repubblicani, ma della vittoria della parte più violenta e depressa della società americana sul resto della popolazione. Il 3 novembre gli elettori statunitensi saranno chiamati a scegliere nuovamente il presidente che li guiderà per i prossimi quattro anni, una scelta non meno cruciale della precedente. Ne ha parlato con Left.

Signor Fountain, nel suo libro spiega come Donald Trump sia arrivato alla Casa Bianca unendo una retorica populista a un razzismo spudorato, legittimando così uno dei lati più oscuri del pensiero americano. Questi quattro anni hanno peggiorato ulteriormente le cose?

La presidenza Trump ha incoraggiato i suprematisti bianchi e i nazionalisti razzisti a rendere sempre più palesi i loro programmi, introducendoli nella cultura mainstream, durante questi quattro anni appena trascorsi. Tra le altre cose, questo appoggio è sfociato in un forte aumento dei crimini d’odio nei confronti delle minoranze presenti nel Paese; in altre parole, esseri umani, molti dei quali cittadini americani, sono stati feriti o uccisi come diretto risultato delle simpatie e della retorica razzista di Trump. Ma allo stesso tempo la presidenza Trump ci ha mostrato quanto il razzismo sia radicato e violento nella società americana: la sua presidenza ha “inasprito i contrasti” fino al punto in cui solo uno sciocco negherebbe che il razzismo è uno dei principali, se non il maggiore, problema che sta affrontando l’America. Almeno adesso un gran numero di americani (americani bianchi) sta iniziando ad approcciarsi in modo significativo al tema del razzismo e del retaggio della schiavitù.

Il problema del razzismo sistemico è ritornato alla ribalta dopo l’assassinio di George Floyd e il nuovo vigore acquistato dal movimento Black Lives Matter. Nonostante la nuova consapevolezza che almeno una parte di statunitensi dovrebbe aver acquisito, durante una delle udienze di Amy Coney Barrett per la carica di nuovo giudice della Corte suprema il senatore repubblicano Lindsey Graham si è riferito al segregazionismo come ai «bei vecchi tempi». Cosa ci dice questo dell’America del 2020?

Graham ha affermato che il suo riferimento ai «bei vecchi tempi della segregazione» era sarcastico e credo che delle persone…

 

L’articolo prosegue su Left del 30 ottobre – 5 novembre 2020

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