Fra le molte, dolorose, perdite di quest’anno, c’è anche quella del politologo Giorgio Galli. Lo ricordiamo con questa intervista realizzata da Carlo Patrignani, apparsa su Left due anni fa.
Va smentito prima di tutto un classico, irreale luogo comune: la sinistra non c’è, non esiste. Non è affatto vero: un popolo di sinistra, e quindi la sinistra, in Italia c’è, esiste. Pd, Leu , Prc, Potere al popolo lo comprovano. Certo, è una sinistra che arranca, in grande difficoltà, può essere persino in declino, come in Europa, ma, pur avendo subito delle gravi sconfitte, c’è, esiste: è da qui, da quel che c’è, che bisogna ripartire”.
Così si pone il politologo e storico Giorgio Galli, un 90enne pieno dotato della rara capacità di far nessi tra il presente e il passato, davanti alla sfida culturale e politica di oggi: la diffusione dei populismi di destra e di sinistra nati sull’onda delle crescenti diseguaglianze economico-sociali prodotte dall’ideologia dominante, il neoliberismo.
Si tratta, hic et nunc, di ricercare, progettare e proporre ‘la via d’uscita’ dal “flagello del neoliberismo” e di costruire, “una nuova idea di socialità”, che – avverte il politologo e storico – “necessita di fantasia e di idee innovative”.
Bene professore, cominciamo dalla sinistra che c’è, che esiste, e che si è espressa, divisa, nel voto del 4 marzo: tra Pd, Leu e Potere al popolo il popolo di sinistra è fatto di 7,2 milioni di persone, poco più del 22%.
“Purtroppo la sinistra attuale difetta di una solida, autorevole direzione politica: è la sua debolezza, che discende dall’assenza di un ‘pensiero forte’ sul modello di società cui aspira. E questo ‘gap ideale’ spiega le divisioni. Manca una piattaforma di base, un collante, che, per me, è la critica del capitalismo, all’analisi dei suoi veloci cambiamenti strutturali, per la cui comprensione ineliminabile il marxismo serve ancora”.
Dunque è da qui, dal marxismo, che si può e si deve ripartire?
“Certo. La ragion d’essere della sinistra è la lotta per l’emancipazione dei più deboli dai più forti, dai privilegiati. Così fu alle orgini quando si iniziò a parlare di socialismo. La guida teorica poi divenne l’analisi e la critica del capitalismo e, con essa, al dogma del ‘libero mercato’, di cui, negli anni successivi al crollo dell’impero sovietico, la sinistra fece il suo ‘credo’. Questo deragliamento dai valori cardine – uguaglianza, libertà, giustizia sociale – e dall’analisi e critica del capitalismo, è avvenuto perché la cultura, l’intellighenzia di sinistra, ha dedotto che crollata l’Urss fosse crollato anche il marxismo”.
L’errore fu quello di aver confuso il marxismo con il regime autoritario e illiberale creato da Stalin nell’Urss?
“Sì aver identificato il marxismo e il socialismo con l’Urss ha determinato la decapitazione di quel grande prodotto culturale che è stato il marxismo, che avrebbe consentito di analizzare i veloci cambiamenti del capitalismo e di capire per tempo il capitalismo globabilizzato delle 500 muiltinazionali che governano il mondo, invece di ritrovarsi spiazzata dalla famosa idea della Thatcher ‘non c’è alternativa’ al sistema neoliberista, è l’unico possibile”.
La sinistra deve ricominciare a pensare, a riflettere in che mondo viviamo: chiedersi perché oggi ci ritroviamo i populismi di destra e di sinistra. Questo per non diventare succube del capitalismo delle multinazionali, per riacquistare un pensiero critico, per riappropriarsi di certi valori delle origini, tuttora validi.
E’ stato questo deragliamento un errore pagato a caro prezzo: ma non è mai troppo tardi per ravvedersi, suggerisce l’autore di tanti saggi che passano al setaccio cambiamenti e misteri dal 1945 ai nostri giorni, e spiega il perché delle sue affermazioni che illuminano il presente.
“Con l’ideologia neoliberista la sinistra ha sposato il dogma del libero mercato, il mercato che tutto aggiusta. E oggi sentiamo: i mercati sono preoccupati, i mercati reagiscono alle decisioni o non decisioni della politica, che si è fatta ancella dei mercati. Chiarissimamente va detto, allora, che i mercati non esistono: sono entità del tutto astratte, divine, che, come tali, non esistono.
Viceversa, esistono i manager, i top manager delle grandi multinazionali, dei grandi istituti bancari, delle agenzie di rating che governano il mondo: come sistema Italia, siamo l’anello più debole di questo sistema globale, di cui pochi o nessuno parla, proprio perchè non si fa più nè l’analisi nè la critica al capitalismo, per non infrangere lo status quo.
Ecco, io penso che la sinistra dovrebbe battersi perchè i componenti dei CdA delle grandi multinazionali, delle grandi finanziarie, delle agenzie di rating siano eletti a suffragio universale e non per cooptazione: è probabilmente un’utopia, ma per l’oggi, per il futuro chissà”.
Insomma il sentimento della rassegnazione non alberga nell’anomalo 90enne che ama osservare e approfondire i mutamenti politici, economici e sociali che alle spalle hanno sempre un ‘pensiero’ e rifarsi ai clerici vagantes che andavano in giro a raccontare alla gente la loro visione di un nuovo mondo e di “una nuova socialità”.
“Sono per natura ottimista e curioso di tutto quel accade in giro: se in Inghilterra il vegliardo Jeremy Corbyn ha saputo ricreare il socialismo delle origini attirandosi le simpatie di tanti giovani con l’obiettivo di una società per i molti, non per i pochi e se lo stesso percorso ha intrapreso negli Usa un altro signore avanti con gli anni, Bernie Sanders, con Our Revolution, non vedo perché lo stesso non possa accadere un giorno da noi”.
Prima di congedarsi, Galli ha un ultimo pensiero in serbo: “viviamo in un’epoca di grande incertezza. Pur se il voto del 4 marzo ha evidenziato il cattivo funzionamento del sistema politico, giunto forse al capolinea, visto che gli elettori hanno lasciato i partiti tradizionali, di massa, conosciuti nel ‘900, esso può essere, al tempo stesso, l’occasione storica per avviare la ricostruzione di una sinistra nuova, aperta e originale. Tocca a noi fare questo minuzioso lavoro ideale, e magari insieme”.
Da left del’l8 giugno 2018